Testarde, imprevedibili, finalmente vive: LE PIETRE di Claudio Morandini

Noi le pietre ce le troviamo dappertutto, negli orti, nei prati, dentro alle scarpe, anche in casa. Abbiamo smesso di chiederci da dove vengono perché non c’è nessun mistero (…). Lo hanno confermato anche i geologi che sui nostri problemi si sono laureati e hanno costruito intere carriere: questa è montagna debole, anche se all’apparenza imponente, dentro queste rocce si nasconde una tremenda fragilità, che ogni anno abbassa le cime e sposta i rilievi e nel giro di un milioncino di anni appiattirà tutto, ed è già tanto se rimarrà qualche collina sabbiosa.

Eccole. Sono davanti a te. Grandi, le più grandi che tu abbia mai visto. Nere, chiare, lucide, opache. Oppure piccole, più piccole fino a diventare granelli, polvere, sabbia scura. Impercettibili. Quasi invisibili. Le pietre sono mute.
Eppure Morandini compie il miracolo: rende percettibile l’impercettibile, assordante il silenzio. Parla delle pietre, le rende protagoniste. Proprio loro, private della parola, immobili e pesanti, vivono in questo imperdibile romanzo corale una seconda vita, anzi, ricevono in dono una seconda natura: impossibili da addomesticare, sfrigolano, fanno rumore, si muovono, eccome se si muovono! Abbandonano la robustezza per farsi anima, spirito, fantasma… questa è la storia di un villaggio alpino, e la storia si perde nel racconto (a metà strada tra humor e mistero) della singolare vicenda dei coniugi Saponara. Curiosi?
Con calma, prendiamoci tutto il tempo che questo romanzo richiede. La trama è ambientata nel villaggio alpino di Sostigno, anche se parlare di ambientazione è assai riduttivo. Il paesaggio non è uno sfondo, piuttosto il vero protagonista della vicenda narrata, e si incarna non solo simbolicamente ma anche fisicamente nelle pietre che danno titolo al libro. Gli abitanti di Sostigno vivono una realtà al limite della normalità: il loro paese sembrerebbe essere invaso dalle pietre, condannato al lento sgretolamento del suolo, e le loro transumanze (verso le baite di Testagno in cui trascorrevano l’estate), con il passare del tempo, sono diventate sempre più numerose, tanto da costringerli ad un movimento perenne, ad un nuovo tipo di nomadismo dettato dalla forza imprevedibile della natura e dei suoi elementi.
L’origine di tutto è ricondotta alla singolare vicenda di Ettore e Agnese Saponara, due abitanti di città che, in un tempo lontano (quasi mitico, leggendario!) si stabilirono proprio a Sostigno. Lei maestra delle elementari, lui insegnante in pensione. Nessun neo, nessuna macchia sulla loro storia, nulla di strano nella loro vita insomma. Ettore e Agnese sono dipinti come l’emblema della normalità: una coppia umile, tenera, abitudinaria, che si divide tra la scuola e le lezioni private a casa. Senza scheletri nell’armadio, come si suol dire…

Tornò in soggiorno e nel mezzo, proprio nel mezzo della stanza, sulle piastrelle in cotto antico, proprio lì, notò un mucchietto di polvere.  Non esattamente un mucchietto: diciamo piuttosto una manciata di terriccio lasciata cadere da una mano distratta. Si sedette allora su una poltrona e si guardò sotto le scarpe, se fossero attaccate delle croste di fango secco alle suole: no. Immaginò che quella terra l’avesse portata una delle allieve; restò a pensare se era il caso di scoparla via ma la poltrona era così soffice che lo fece sprofondare in un sonno pieno di mare e di boschi.

Tutto parte da un mucchietto insignificante di polvere, apparso nel soggiorno dei Saponara. Eppure dal nulla, inspiegabilmente, a quel mucchietto segue la comparsa di una pietra. Poi di una seconda. Di una terza. Fino a rendere inaccessibile la camera, fino a costringerli a doverla chiudere a chiave e non entrarci più. I sassi sono violenti, rischiano di ucciderli ogni volta che varcano la soglia della stanza. Le pietre diventano per i coniugi il simbolo della vergogna, la loro casa inizia ad essere guardata con sospetto: cosa accade in quel soggiorno così strano? Perché giorno e notte i poveri coniugi sentono le pietre far rumore, perché si muovono, cosa le rende così inquiete? E soprattutto, perché hanno scelto proprio loro?
Con un ritmo trascinante, che non lascia la presa neanche a volerlo, il lettore viene accolto tra i paesani di Sostigno, viene fatto sedere su una poltrona comoda, oppure direttamente all’aperto, sotto le stelle di una notte d’estate, attorniato da vecchi, giovani, bambini desiderosi di ascoltare la vera versione della storia, ma anche eccitati all’idea di raccontare la loro, di storia. Quella dei loro abitanti, di personaggi leggendari come Ruggero, eroe tragicomico la cui vicenda (finita male) si perde nella rincorsa ai sassi della montagna, oppure gli “ometti assassini” (che indicavano veri e propri sentieri di morte, al di là della loro apparente benevolenza), le famose “gare lunghe” con i sassi (che potevano durare addirittura anni, e chi se le ricordava più!), le lotte editoriali tra le due testate giornalistiche del paese, l’immagine del fantasma di Carletto, Nonno Ramaglia… e poi, come non ricordare lo spassosissimo Don Danilo, protagonista nella vicenda dei Saponara: il prete che vede nelle pietre un simbolo incontrovertibile del maligno, e, a seguire, i vari stregoni e veggenti che si avventurano, un po’ per curiosità un po’ per dimostrare le loro doti esoteriche, nel salotto di quella casa maledetta (se ne pentiranno tutti amaramente), fino ad arrivare alla misteriosa e controversa figura di Ennio Tarcisio Riviera…

Morandini è stato una scoperta piacevolissima: il suo romanzo è di una scorrevolezza e di una capacità di scrittura lodevoli. Le sue frasi ti catturano, incuriosiscono e hanno il sapore saggio della lettura, che  inizia a piccoli passi ma poi ti trascina con la forza di una valanga (mai paragone fu più appropriato!). La storia dei Saponara ha un elemento di mistero che, a mio parere, continua ad affascinare anche dopo la lettura del libro intero. Pone quesiti al lettore, gli chiede: e tu, cosa ne pensi di questa storia? Gli interrogativi non mancano, si tratta di fenomeni che lasciano spazio all’indagine scientifica ma, allo stesso tempo, sono così affascinanti proprio per le loro inspiegabilità, per il senso di spaesamento e di impotenza che trasmettono. Le pietre sono il simbolo di una natura che ci ricorda di essere viva, anche se spesso lo dimentichiamo. Ed è una natura implacabile, che costringe al movimento, sempre e comunque. Non c’è nulla di immobile ed immutabile. E state certi di questo: non vederete mai più le pietre con gli stessi occhi. Orca madosca!

– Sono pietre, solo pietre – ho spiegato. – Non so perché è successo tutto questo, non lo sa nessuno. Ma da qui non vogliamo muoverci. Cioè: vogliamo muoverci sempre, ma da quaggiù a lassù, in verticale, ha capito? Non andarcene. Spostarci. È nella nostra natura.

( Ioanna Rossi, Paper Leaves)

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