Venerdì arriva a Levico con il suo nuovo libro Claudio Morandini: «Bisogna guardare dentro le cose»

 La montagna, che inquietante

 Arriva a Levico venerdì sera lo scrittore aostano Claudio Morandini per presentare il suo ultimo libro, Gli oscillanti, edito da Bompiani.
L’incontro, previsto alle ore 21 in piazza della Chiesa, organizzato dalla Piccola Libreria di Levico di Lisa Orlandi e dalla Biblioteca comunale per la rassegna «Levico incontra gli autori», vedrà Morandini in dialogo con la poetessa Laura Liberale, che è entusiasta della prosa di Morandini, “scrittore di montagna”: «È una storia ipnotica sul sottosopra della montagna e degli esseri umani».

Morandini, la sua montagna è orrorifica Che rapporto ha con essa?

Io la montagna la conosco bene, a modo mio, perché ci sono nato proprio in mezzo; si badi, in mezzo, non sopra, perché Aosta è una piccola città circondata da montagne incombenti. La osservo da sempre, dal basso, subisco le sue lunghe ombre d’inverno, e la frequento anche, con prudenza e senza sentimentalismi. L’ambiente alpino che racconto, però, non è quello sperimentato di persona, in tempo reale, en plein air, ma piuttosto quello sognato: scalo spesso montagne che sono la versione onirica delle montagne vere, esploro le loro profondità. È un ambiente che non rassicura, che non è a nostra misura e ci intrappola in prospettive ingannevoli – tutte cose che mi piace raccontare. Tutto questo fa paura ma fa anche ridere, perché gli sforzi vani dell’uomo di condizionare qualcosa di troppo grande o complesso hanno spesso un che di comico.

I suoi romanzi sono sorprendentemente musicali. C’è la passione del melomane.

È vero, anche se la mia formazione musicale è piuttosto irregolare penso spesso in termini di forme musicali, quando scrivo: un certo capitolo ha il piglio di un Allegro, un altro l’andamento di un Adagio… Anche l’alternanza di parti riflessive e dialogate la vivo come la successione di arie e recitativi. Tutto questo per me è importante al momento della scrittura, anche se non penso che si possa andare molto più in là nel rapportarsi con la musica. Maestri? Stravinskij, senza dubbio, per l’ironia, il distacco, la tendenza ad appropriarsi della tradizione per farla sua e, accanto a lui, la musica dissonante della prosa di Ramuz, un autore “di montagna” che vorrei più celebrato in Italia. Ne Gli oscillanti, la musica è anche un tema del racconto: la giovane protagonista e narratrice è una etnomusicologa, e tende ad applicare i suoi strumenti di ricerca e analisi anche alle esperienze comuni, alle voci di chi le parla: è una classificatrice, fiduciosa che esista un metodo per mettere ordine nel caos della vita.

Una risata ci seppellirà: Gli oscillanti è il più ironico e sagace dei suoi romanzi. C’è un sapiente dosaggio di tutti gli stati dell’animo umano: si alterna riso a spavento, disagio a scherno.

 Credo che il riso – come il fantastico – sia una naturale estensione del realismo come lo intendo io. Quando si osserva con puntiglio qualcosa, se ne scoprono le irregolarità, le stranezze, i dettagli inaspettati, le magagne. Se è il caso lo si ingigantisce, lo si deforma. Ecco, quando racconto mi concentro così sulle cose, in particolare sulle azioni degli esseri umani, sulle loro parole. Tutto questo diverte e mette a disagio, il che mi pare un bene.

Quanto è utile o necessaria?

L’ironia? Se ben praticata, è appunto un modo efficace, elegante e nonviolento di ribaltare le cose e mostrarne il lato nascosto, di rivelare il lato inaspettato, sdruccioloso, o quello che non vorremmo vedere. Come tale la ritengo utile, anzi educativa. Troppo spesso ci fermiamo, per pigrizia, per diseducazione, alla prima impressione, alla versione letterale. Osservare con attenzione vuol dire anche dubitare di ciò che ci appare e provare a guardare “dentro”, e “dietro” le cose, senza fretta, con pazienza – ecco qualcosa che viene bene in montagna.

(Paolo Pierpaoli, L’Adige, 7 agosto 2019)

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