“La musica dalle finestre” per “I Cantieri dell’immaginario” 2014

Il blog letterario “Poetarum Silva” ospita il testo scritto per “L’orologio della città nuova”, spettacolo andato in scena l’8 agosto 2014 a l’Aquila nell’ambito della rassegna “I cantieri dell’immaginario”. Si riporta di seguito la presentazione che accompagna il testo.

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L’Aquila, Palazzo Cappa Camponeschi, 8 agosto 2014. Foto di Massimo Denaro.

I primi di giugno di quest’anno, Guido Barbieri, voce storica di Radio Tre e Coordinatore artistico della Società Aquilana dei Concerti “B. Barattelli”, mi ha proposto di scrivere un testo per i “Cantieri dell’Immaginario”, la rassegna di eventi culturali nata per valorizzare il centro storico dell’Aquila, in via di ricostruzione ma ancora ferito dal terremoto del 2009, e insieme per restituire quella vivacità artistica e intellettuale che caratterizzava la città prima del sisma.
Sarei stato coinvolto in particolare in uno spettacolo, fissato per l’8 agosto e intitolato “L’orologio della città nuova”: un misto di letteratura-teatro, musica, danza e immagini attorno al tema del tempo, in cui ognuno degli autori coinvolti si sarebbe dedicato a un’ora, e in quell’ora avrebbe descritto la vita della città (dunque i segni del disastro, ancora visibili, imprescindibili, ma anche la determinazione a rinnovare il tessuto di relazioni danneggiato, il desiderio di tornare comunità coesa e solidale, l’impazienza di riprendere a godere della bellezza dopo aver tanto penato dietro all’emergenza).
Nella mente di Barbieri, il progetto, ambizioso, quasi visionario, prevedeva il coinvolgimento di tanti scrittori quante sono le ore del giorno; il numero dei partecipanti è stato poi ridotto drasticamente a tre (Francesco Niccolini, Maurizio Cerini e il sottoscritto), immagino per questioni di budget, ma non è escluso che in futuro l’idea originale venga ripresa.
Lo spettacolo itinerante, sotto la regia di Maria Cristina Giambruno, si è tenuto dapprima nei cortili di tre importanti palazzi storici di recente restaurati (Palazzo Cappa, Palazzo Cappa Camponeschi, Palazzo Paone: al mio testo credo sia toccato il secondo): un luogo per ognuna delle ore prescelte tra le ventiquattro del giorno. Barbara Esposito e Fabrizio Croci hanno letto i testi; la parte musicale, che non si limitava a un semplice accompagnamento delle parole, era affidata ai componenti dell’Ad Hoc Ensemble.
Alla fine della serata, i tre momenti sono stati ripresi all’Auditorium del Parco, in una sintesi spettacolare in cui alla musica e ai testi si sono uniti anche il racconto per immagini realizzato da Roberto Grillo e le coreografie curate da Alessandro Certini e Charlotte Zerbey.
Insomma, quello che segue è il mio contributo. Non nego di aver lavorato di fantasia, nel situare all’Aquila le mie pagine, dal momento che mi era impossibile raggiungere l’Abruzzo in tempi brevi da Aosta. Non nego nemmeno di aver curiosato nel materiale che il web mette a disposizione, soprattutto in mezzo a centinaia di fotografie, e di avere fatto tesoro dei consigli dell’amica Fabiana Piersanti, che all’Aquila lavora, oltre che dello stesso Guido Barbieri. Per trarmi d’impaccio, ho lasciato che un paio dei miei soliti personaggi un po’ sfuggenti un po’ petulanti percorresse quegli spazi al posto mio andando per così dire alla deriva – e mi sono concesso qualche sterzata verso il fantastico, che non guasta mai.
Pare che gli aquilani che hanno assistito allo spettacolo si siano ritrovati negli aspetti, nei dettagli, nei colori, nello spirito insomma del mio piccolo contributo. Qualcuno, mi si dice, si è pure commosso.

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Marta Raviglia, Manuel Attanasio, Claudio Morandini, “Gli oscillanti”

GLI OSCILLANTI4 - NON VEDO ROSSO

“Gli oscillanti” a Ravenna, presso l’ex-Chiesa Santa Maria delle Croci, il 23 luglio 2014.

La première dell’opera “Gli oscillanti”, con musiche di Marta Raviglia e Manuel Attanasio su libretto di Claudio Morandini, è avvenuta per il 22 giugno 2014, al Conservatorio “Bruno Maderna” di Cesena. A Ravenna, il 23 luglio, vi è stata una prima replica; una seconda il 30 ottobre a Forlì.
Dal comunicato stampa:
“Come tutti i progetti frutto di affiatamento e di sintonie già sperimentate, GLI OSCILLANTI è nato con insolita, bella velocità, da un’idea di Marta Raviglia e Manuel Attanasio, subito accolta da Claudio Morandini, che con i due musicisti aveva già collaborato nel 2010 scrivendo le liner notes per il CD del progetto vocale ‘Morfeo’ (Monk Records, 2010). GLI OSCILLANTI è uno spettacolo (un’opera, anzi, con tanto di libretto) che, attraverso recitazione, canto e danza, musica scritta e improvvisazione, lavora attorno a motivi come appunto l’oscillazione, l’esitazione, l’attrazione per il vuoto, la perdita d’equilibrio e la ricerca di un nuovo equilibrio, sia pure precario: tutti motivi che hanno richiesto non un intreccio, con tutte le convenzioni del caso, ma piuttosto flussi di parole attorno a situazioni. Parole, dunque: battute di dialogo, tra due personaggi, un LUI e una LEI, che parlano (cantano) come solisti ma a volte sono amplificati dalla polifonia di due sezioni di coro; e scene solistiche e d’assieme che si alternano obbedendo a un tipo di sviluppo tematico di natura più musicale che narrativa o drammatica, e che, oscillando, si dichiarano e allo stesso tempo si smentiscono. Non è stato difficile trovarsi d’accordo su questa non-storia di fluttuazioni, vertigini, beccheggi e lasciare che parole e note si incontrassero e trovassero un’intesa quasi per conto loro. In fondo, non sta forse in questo instabile equilibrio il senso della ricerca artistica, che appunto ondeggia tra controllo e caso, tra struttura e deriva? E, se vogliamo generalizzare vertiginosamente, non sta forse in questo fluttuare continuo tra volontà e abbandono il percorso di ogni vita umana?

Due arie dal libretto e un breve commento sono ospitati sul blog letterario “Poetarum Silva” in un post a cura di Alessandra Trevisan.

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Dopo le prove de “Gli oscillanti”, presso il Conservatorio B. Maderna di Cesena, il 22 giugno 2014.

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 Simone Sbarzella, Claudio Morandini, “Dodici variazioni sul sangue”

…alle volte si danno questi sangui che s’incontrano.
(Carlo Goldoni, “La Locandiera”)

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Le Dodici variazioni sul sangue nascono nel 2010, da un suggerimento di Marta Raviglia. All’epoca, conversando al telefono, poi per lettera, ne parlavamo come del nostro Pierrot lunaire: nel senso che ci si era formata un’idea di testi di natura variamente letteraria, ruotanti attorno a un unico tema – testi che una voce o due, accompagnate da un organico strumentale ridottissimo (o dal solo pianoforte, forse), avrebbero cantato o declamato su una scena. Era un’idea eccitante, per me, per la massima libertà che mi era concessa e per la destinazione che il lavoro prometteva di avere. Alla parte più strettamente musicale avrebbe messo mano Simone Sbarzella, che avrebbe modulato momenti “composti” e momenti “improvvisati”. Conoscevo bene i lavori nati dalla collaborazione tra Marta e Simone; sapevo che a entrambi stava ormai stretta la dimensione jazzistica e che stavano, in direzioni diverse, esplorando nuove strade espressive.
Cercavo un tema a cui ricondurre i testi, un tema che avesse una certa carica provocativa: e, rimuginando attorno al Pierrot lunaire di Giraud e Schönberg, mi è venuto in mente il sangue. Va bene, il sangue non è tema o colore inedito, soprattutto in anni di vampirismi per signorine e adolescenti – ma la sfida mi attirava proprio perché non lo è mai stato, inedito, perché siam fatti di sangue, perché i televisori a volte, soprattutto verso l’ora di cena, traboccano di sangue, perché il sangue ha un’aura metaforica fortissima, e perché appunto c’è, per così dire, un sangue banale, quotidiano, ci sono i cliché linguistici a base di sangue, e rimestare tra questo sangue di tutti i giorni (quello delle sbucciature, delle rinorragie, delle detartrasi, un sangue anche un po’ sciapo) e quello letterario, di tragica solennità, tutto echi semantici, e quello ancor più tragico che vediamo sparso nei reportage televisivi, sangue-sangue, che fa male vedere, sangue sporco impolverato urlante e per nostra fortuna sempre fuori fuoco – rimestare, dicevo, tra questi sangui (plurale azzardato, ma attestato) per cercare alcuni modi nuovi per raccontare il soggetto, o modi insoliti per svecchiarlo, questo mi interessava.
L’idea, dopo lievissima esitazione al telefono, è piaciuta anche a Marta e Simone. Da lì, la stesura è venuta facile, insolitamente facile. Mi davo come unici criteri quelli della brevità e della recitabilità. I testi dovevano prestarsi a essere messi in musica, o almeno a diventare voce narrante.
Il progetto, nel corso dei mesi, e poi degli anni, ha, com’è inevitabile e anche giusto, subito diverse trasformazioni. Man mano che procedevano il lavoro di adattamento di Simone Sbarzella (io, intanto, conclusa la mia parte, placidamente aspettavo, tornando ogni tanto a levare o aggiungere qualche virgola, qualche sillaba) e la registrazione, la componente più propriamente musicale si è ridotta, e si è ampliata quella recitativa. La voce di Marta Raviglia è rimasta in alcuni episodi, in altri il testo è stato letto da due attori; l’apporto strumentale è stato praticamente azzerato, mentre hanno preso piede suoni e elaborazioni elettroniche. Accanto alla destinazione concertistica (a teatro, sulla scena) si è fatta strada una destinazione più vaga ma più aperta, uno spettacolo multimediale, recitato-cantato-danzato con parti video, elettronica in scena, ecc. E, in luogo dell’idea originaria della registrazione su CD, si è cominciato a pensare a un DVD, visto che la componente visiva stava diventando determinante.
Com’era giusto e chiaro fin dall’inizio, i testi che ho prodotto per le “Dodici variazioni”, fogli d’album, brevissimi racconti o meglio spunti di racconto, monologhetti, parodie di liriche o di arie d’opera, sono stati, al momento della rielaborazione e della registrazione, smembrati, strapazzati, rigirati come calzini. Fa parte del gioco, e una delle cose più eccitanti (è la seconda volta che uso questo termine, vorrà pur dire qualcosa) è scoprire quanto e se il testo, nato pulito, in una certa forma, sopravviva, sia pure fatto a brandelli, in un’altra forma, quanto di nuovo, di nascosto il trattamento faccia emergere, e quanto lasci intatto nonostante tutto. Io stesso, in accordo con Simone, ho preso alcuni testi e ne ho scomposto le parti distribuendole tra due voci, senza seguire la sintassi, anzi procedendo nella suddivisione per netti enjambement contro la sintassi. Certo, alcuni testi hanno subito nella registrazione un trattamento che ne ha profondamente messo in discussione la natura originaria: che so, Salasso era nato come una cabaletta rossiniana (così dice ancora il sottotitolo, se non erro), lo immaginavo come un crescendo ossessivo sul tipo de Calunnia è un venticello, cantato su poche note ribattute, accompagnato magari (in modo un tantino incongruo) da un clavicembalo, da un fortepiano. Ma anche così, trasformato in una filastrocca di infantile ferocia, con strilli e urletti, è Salasso, anzi forse lo è di più, più limpidamente e anche più crudelmente, perché privato dell’ammiccamento colto. In generale, ogni testo è stato sminuzzato in un jeu de massacre, ma alla fine del brano, tirate le somme, risuona nella sua interezza, pienamente ricostruibile all’ascolto.

(https://letteratitudinenews.wordpress.com/2013/05/07/letteratura-e-musica-dodici-variazioni-sul-sangue/#more-2717)

Tre Variazioni sono ospitate sul blog letterario Poetarum Silva con un’introduzione di Alessandra Trevisan.

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Alessio Elia, Claudio Morandini, “Voci, Donna, Buio”

“Voci, Donna, Buio” è un libretto scritto qualche anno fa per il compositore Alessio Elia e destinato a un’opera da camera. Se ne può leggere una scena nel blog, http://ombrelarve.blogspot.it/2009/06/da-voci-donna-buio-una-scena.html.

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