Io credo che un buon incipit possa serenamente valere una vita, con tutta la componente delle attese, degli anni e degli accidenti capitati e occorsi proprio per arrivare fino a lì: nel caso di Morandini suddetto principio di testo – Le botte che mi dava mio padre, senza che sapessi perché – va solo a sommarsi (non poteva essere altrimenti) ad una serie di opere fondanti fin dai tempi del mitologico Neve, cane, piede, caposaldo degli anni ventiventi (recuperi stanotte chi per incidente non avesse ancora letto. Ho detto stanotte, amici miei, non domani). Una questione nodale, quella messa in campo dal nostro, maledettamente centrata e globale (Diceva che mi avrebbe reso uomo, che per questo mi picchiava – scriveva Lemebel in Ho paura torero), mai fuori moda (ironizziamo, ma vorremmo morderci le dita fino a farle sanguinare): quella di padri indegni e non abilitati alla dimensione di guida e riferimento. Uomini irrespirabili, vittime di vittime (?) in un ciclo epico da contaminazione del ghénos: sembra non ci si possa salvare dal circuito del dolore. Il caso di specie porta una figura che le busse le distribuisce a meraviglia ripartendole equamente tra mogli, figli ed animali: nessuno, papà, può essere così feroce direbbe la figlia nell’ascoltare le imprese del nonno. Anche peggio, se possibile, con una collezione di dolori e umiliazioni che abbraccia il più vasto campionario possibile: quando non le persone, dicevamo, le fiere – tutte costretti a sottostare alle volontà di un Saul cieco e pazzo che non consente diplomazie né repliche: il più delle volte veniva via con una capra, che conduceva strattoni in casa e si portava nel letto, al posto della mamma, come segno di grandissimo spregio.
Se questo il centro del male non aspettiamoci meraviglie in angoli che almeno a livelli di coerenza presentano concordia: una famiglia del genere, campionessa di squilibri, non può (o può molto difficilmente) brillare per sanità e salute: è intorno allo stomaco che si sviluppano le questioni non risolte sul viso o nel sesso. Il trionfo della tavola è quello delle patate contornate da pochissima carne in una sorta di contrappasso culinario vangoghiano: cibo da poveri, quello concesso, con tentativi di morsi clandestini punibili, se scoperti, coi peggiori provvedimenti. Cosa aspettarsi, da tutto questo? Sciagura, e sciagura malamente, in queste geografie bislacche degli ultimi, nelle quali Morandini campiona da tempi non sospetti (pensiamo almeno al Farandola del già citato Neve o ai poveri abitanti di Crottarda de Gli oscillanti) che fanno maturare riflessioni non piccole sul pericolo di un certo ambientismo: se faccio crescere delle radici in un terreno avvelenato posso solo sperare una corsa ai ripari – di alberi sani difficile vederne.
Se origini e luoghi sembrano compromessi il tempo che scorre un loro risultato: i bambini poi crescono – maledetti cani che avete il nome di padri, ve lo aspettavate? Gli adulti risultanti sono un orrido precipizio o, in situazioni meno tremende, qualcosa che traballa. Così per il Franchino sverniciato dal prete e studiante a convenienza che ormai mappamonda in una versione rivisitata di caricatura cavouriana con ruolo politico di sindachì e mani a stringere e a rassicurare – grosso comune, grosso sindaco – il pessimo nemico diventa necessario alleato per forchettare bella fetta di voti: padre d’esempio, emblema del tempo che fu – questo deve diventare per motivi elettorali (con rospi da ingoiare, rivoluzione sullo sterno). Cerniera del gioco una figlia e una nipote a metà tra ciò che non si potrebbe credere e ciò che è stato in quei tempi maledetti di mezzo, nei quali le cose sconfinavano a pioggia e di ombrelli neppure una traccia. Lo scrittore mette a frutto una questione nodale: se ci sono state le vergogne e i precipizi il passaggio di testimone non potrà non essere effettuato senza un qualche danno collaterale.
Nel ringraziare l’autore una considerazione: se Morandini fosse nato qualche chilometro più in là (diciamo amaramente), se fosse stato oltre il confine, la sua carriera già clamorosa avrebbe forse riscosso ancora maggiormente – siamo italiani, esterofili per eccellenza, quasi dimentichi di quanto accade a due centimetri dal naso, presbiti per definizione e impossibilitati a vedere bene nel nostro piatto. I Morandini, gli Stassi, i Magliani andrebbero preservati, custoditi in una teca, ma questi sono discorsi altri, inutili e sentimentali. Discorsi da bandire, quasi proibiti: pazzi e deficienti che siamo qui a farli. Grazie perciò Morandini, grazie davvero: che il tempo ti ricompensi, hai reso un gran servigio.

(Graziano Gala, Treccani.it)

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