La voce narrante non rispecchia per nulla l’aspetto di Franco Gavaglià, il protagonista de La conca buia, nuovo romanzo di Claudio Morandini: tanto è misurata, consapevole, lucidissima, cinica la prima quanto sgraziato, piacione, goffo in pubblico appare il suo correlativo in carne e slogan. Già sindaco di Covignasca, immaginario capoluogo alpino comprendente molti borghi e frazioni, Gavaglià è in corsa per la rielezione. Per contrastare la minaccia dell’avversario Ursini, lo staff del sindaco gli suggerisce di impiegare le ultime settimane di campagna elettorale portandosi dietro il vecchio padre, che agli occhi della comunità dovrebbe rappresentare il legame del bolso e ormai “cittadino” Gavaglià coi valori antichi della montagna. Da queste premesse parte una vicenda raccontata in prima persona come se fosse una lunga lettera confessione alla figlia Leda, simbolo di una generazione millennial viziata, irritante e distratta, che idealizza luoghi e persone, senza la reale percezione della profondità e complessità delle cose che accadono o sono accadute. Perché è profondo e complesso il passato che le montagne celano, e tali sono i traumi e i vuoti che il protagonista ha tentato di esorcizzare sviluppando un genuino talento per la manipolazione degli altri, che nella politica ha trovato una naturale destinazione. Scaturigine del buio interiore di Gavaglià è proprio quel padre che agli occhi miopi della nipote pare solo un vecchio indifeso e forse un po’ burbero, mentre la sua natura è quella di uomo brutale, sadico, che ha torturato moglie, figlio e bestiame: una persona orribile che getta una luce distorta proprio su quell’ideale di montanaro amante della natura e tutto d’un pezzo che suo figlio e lo scombinato staff di politici locali provano a costruire, attraverso una girandola di situazioni e comparsate grottesche – notevole, tra gli altri, il fotografo artistoide a cui saranno commissionati i manifesti elettorali. Tra vernissage, sagre di paese, allevamenti di struzzi si consuma un tragicomico atto del “recitare l’amore per la propria terra, quella stessa terra che ci ha fatto sanguinare e disperare e ha ucciso nostra madre e reso folle nostro padre”. Da questa farsa il protagonista trova pace solo raggiungendo la conca buia del titolo, un luogo nascosto da una parete rocciosa in cui è possibile ripararsi dal rumore, sorta di santuario laico dove, fin da bambino, Gavaglià riesce a fuggire dalla dolorosa realtà, stare solo con sé stesso e avvertire più netta la profondità delle cose. E’ bello ritrovarsi di fronte a un libro così. La conca buia è una storia onestissima nel tratteggiare la disonestà – e la crudeltà – delle relazioni, che assume i tratti di una fiaba ipermoderna e allucinante, raccontata da una maschera contemporanea che del contemporaneo sa dire molto bene: perché ne è invischiata fino al collo, sperimentandone le truffe, le ipocrisie, tutta la comica e spregiudicata amarezza.

(Alfredo Palomba, Il Foglio, 17 ottobre 2023)

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