La parabola di un uomo di montagna

“Neve, cane, piede” è l’ultimo lavoro di Claudio Morandini, professore di  lettere in un liceo d’Aosta, che qui si addentra con risultati sorprendenti  in una corrente letteraria poco frequentata dai lettori del nostro Paese. Chi la sviluppa maggiormente è una cerchia di autori svizzeri come Leo Tuor, Oscar Peer, Arno Camenisch e Jacques Chessex che hanno dato vita a personaggi estremi, folli picari d’alpeggio, uomini solitari, eremiti barboni privi di qualsiasi magia cui Morandini s’ispira per esplicita ammissione. Qui, il vecchio e ormai privo di memoria Adelmo Farandola, vive in una baita molto lontana dal primo paese abitato. Abituato alla fatica, Adelmo s’appresta a far rifornimento per l’inverno alle porte ma non si ricorda che solo una settimana prima era già stato in paese a compare burro, patate e vino. La donna del negozio si fa beffe del vecchio ricoperto da uno strato di sporco che pare lo scaldi come una seconda pelle. Adelmo sprezzante, rabbioso, torna alla baita, dove trova la compagnia di un cane. Morandini, grazie all’uso di un linguaggio asciutto e molto preciso (si veda per esempio l’elenco degli utensili del vecchio Adelmo, i bigonci, le cavezze, le zangole, le catene, strumenti d’uso che connotano i tempi di un lavoro ormai scomparso), racconta quindi la discesa progressiva nella follia di Adelmo, che sente le voci, fino ad arrivare a compiere, forse, un gesto estremo.

Una pazienza feroce

Il vecchio non è affatto un uomo che ha trovato la pace chiuso dentro la sua baita. Potrebbe avere l’aspetto del buon selvaggio, di colui che neppure sente i suoi odori, ormai abituato a confonderli con quelli della natura. Un uomo burbero ma buffo, che scambia una sua scoreggia per una calda carezza. In verità è una creatura ferita, abbandonata, dolente, “sdegnata perfino da uccelli e marmotte”. Uno che la notte percepisce la neve battere con insistenza alla sua porta spaventato a morte. Un borderline come ancora si trovano in montagna, nelle regioni più sperdute. Una montagna che offre il volto meno amato dai turisti, quello dello spopolamento. La conca in cui Adelmo vive è “abitata da un assembramento muto di idoli di pietra, da conoidi e semisfere di vaga forma umana che poggiano sull’erba schiacciata per sempre e sembrano sorvegliare i rari passaggi”. In forma di epilogo, Morandini si domanda come arrivino alla fine della giornata simili personaggi. Non si dà risposte ma prova a scrivere la parabola di uno di loro. Con risultati davvero interessanti sul piano letterario recuperando la “pazienza feroce” dell’uomo di montagna.

(Camilla Valletti, La Stampa Montagna / Meridiani Montagne)

 

 

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