NEVE, CANE, PIEDE, ultimo romanzo di Claudio Morandini
La storia di Adelmo Farandola
Di eremiti ne è piena la Terra, nascosti nei luoghi più remoti, dimenticati – magari anche per loro stessa decisione – da Dio e dagli uomini. Talvolta, nelle escursioni in montagna, quando ci si inerpica lungo sentieri mai battuti, dopo ore e ore di cammino, s’intravede una sagoma nel fumo semitrasparente della nebbia, una figura in forma umana. D’improvviso ci si arresta, salgono alla mente dubbi d’ogni tipo, il sangue si raggela, perdiamo le certezze, scattano le difese di un’emergenza possibile.
Ci sarebbero, in realtà, tutti gli ingredienti di un giallo o di un noir, ma non è questo, nonostante l’aura di mistero sempre presente, il colore che avvolge e anima l’ultimo piacere alla scrittura di Claudio Morandini. È il bianco l’unico colore di riferimento che acquista e mantiene viva una permeante forza evocativa nella dimensione mitico-favolistica del romanzo.
Neve, Cane, Piede è il titolo, secco e didascalico, di questo romanzo breve, ambientato in una vallata alpina. Titolo che rivela subito al lettore i tratti pertinenti degli accadimenti, ognuno dei quali si avvale della propria, intima, sinestesia comunicativa. Come quei colpi improvvisi, di notte, alla porta di Adelmo Farandola. È la Neve che bussa, lo spesso strato di neve che avvolge tutta la baita e la nasconde al sole fino a renderla un semplice rilievo sulla superficie. È la neve che chiede di entrare. Adelmo Farandola si sveglia a quei colpi. […] Ma quei colpi sono così vaghi e lontani che non sa se li ha sentiti sul serio o li ha sognati, e non sa nemmeno se ora è sveglio sul serio o sta sognando di essere sveglio.
Giocata sul filo aneddotico di una realtà in continuo mutamento, la drammaturgia morandiniana innesta le proprie radici in una saggezza arcaica tutta “naturale” e costruisce l’impianto narrativo per accostamento di fili solo apparentemente invisibili, ma cangianti come la neve, che – scrive l’autore – vive e respira. Così come vive e respira il sibilo dei cavi dell’alta tensione e quel Cane che giorno dopo giorno gli rimane fra i piedi, che abbaia fino a sgolarsi ma non abbandona la casa per correre dietro alle prede. E non solo. Il cane, una volta fattosi prendere a benvolere, nel condividere la solitudine dell’esistenza, risponde al vecchio, o almeno lui crede che questo avvenga. Nascono dei veri e propri dialoghi, come forse quelli con tutti gli elementi della Natura, in un Tempo senza tempo e senza parola quando l’unica comunicazione e l’unico linguaggio era quella del “sentire”.
Romanzo “di confine”, lo definisce lo stesso autore, che racconta di un viaggio, di un’avventura nelle emozioni del quotidiano, che all’improvviso, sorprende, scuote e pone in vibrazione la quiete del lettore. Il terzo fattore, Piede, entra in azione, si fa per dire – essendo immobile -, e ruberà ai due “attori” la seconda parte, inquietante, della scena.
Riporto, dalla quarta di copertina, poche indicazioni sull’atmosfera, i coinvolgimenti e il dramma che attendono chi desideri entrare nel fascinoso eremitaggio di Adelmo Farandola.
– Che annusi? chiede l’uomo. – Sento un odore, dice il cane. – Senti sempre odori, tu. – Sì, ma questo è forte. Annusa anche tu. – Non sento niente. – Usa gli occhi allora. Si avvicinano al fronte della valanga. Adelmo Farandola è contento, perché ha già intuito cosa può avere attirato l’attenzione del cane. Dai cumuli di neve, con il passare del tempo, emergono sempre corpi di animali morti, di camosci e stambecchi e animali in fuga, che lo schianto ha fatto a pezzi ma che il gelo ha conservato freschi. – Che bestia è? chiede al cane. Il cane zitto. – Non sai che bestia è? – Non è una bestia, sussurra il cane, immobile.
(Marco Fioramanti, Articolo 33 n. 3, marzo 2016)