Protagonista umano di Neve, cane, piede (…) è Adelmo Farandola, un anziano solitario che vive in un vallone alpino a stretto contatto con una natura implacabile nei suoi cicli: “Venti gelidi insistono lungo il vallone, si insinuano fin tra le pareti della baita, sembrano battere alla porta, di giorno e di notte. Le nuvole si ingrossano, gravano sulle cose, e niente le sfilaccia più dalle pareti della roccia”, p. 9.
In questo clima dove tutto avviene necessariamente, non solo non c’è spazio per coltivare una vita sociale o sentimentale: persino il confine tra realtà e immaginazione è mobile, come se non fosse concesso il minimo riparo dall’imperio delle forze naturali.
Adelmo infatti si troverà spesso a domandarsi se le cose siano o meno accadute. Come quando, al sopraggiungere dell’autunno, scenderà in paese a fare provviste e gli verrà detto che tale azione è già stata da lui compiuta appena una settimana prima: “Adelmo Farandola risale, confuso e avvilito. Non si ricorda – non si ricorda di essersi dimenticato”, p. 17.
Così tenue è il governo di Farandola sulla propria vita, che decade anche la dicotomia tra possibile e impossibile. Ecco dunque apparire un cane parlante, che sarà per Adelmo compagno ora impiccione ora civettuolo, davvero lontano da qualunque retorica sulla fedeltà e la docilità canina. Dirà l’animale in risposta all’offerta di un tozzo di pane: “I cani sono carnivori, non ci basta il pane secco, mica siamo galline, con tutto il rispetto per le galline”, p. 28.
Insomma: il legame tra Adelmo e il cane, più che essere alimentato dai due, pare accadere al di fuori di ogni progetto, proprio come accadono le cose del mondo: “Giunto l’inverno, Adelmo Farandola si accorge di avere concesso al cane di rimanere dentro la baita anche la notte. Lo vede accoccolarsi ai piedi del letto, con un sospirone. È diventato un compagno, pensa, un compagno di vita, pensa”, p. 49.
Momenti di sintonia affettuosa si alternano ad altri (specie nel periodo invernale, quando il cibo comincia a scarseggiare) nei quali sono due animalità a fronteggiarsi. Dapprima è ancora possibile una qualche ironia:
“Il cane decide di non accennare più, per il momento, alla mancanza di cibo, per non sollecitare la fantasia del vecchio.
– Hai fame? – gli chiede questi, allora, per fare conversazione.
– No, no, ci mancherebbe – fa il cane, e sbadiglia come in mezzo a una conversazione oziosa”, p. 71.
Ma all’aumentare della fame affiorerà il mero istinto di sopravvivenza: “Ancora qualche giorno passa. Stremati, cane e uomo si fissano, ognuno nel suo angolo. Chi resta vivo mangerà l’altro, e ne avrà per sopravvivere fino al disgelo. Ma il pensiero di finire mangiato li tiene in vita entrambi. Non ti darò questa soddisfazione, pensano tutti e due. Sono io il più forte”, p. 73.
Quando finalmente la temperatura salirà, e uomo e cane si riaffacceranno, complici, nel vallone, sotto un cumulo di neve vedranno spuntare un piede umano.
Di chi è il cadavere? Il cane, come impone la sua indole, scalpita per disseppellirlo e dargli un volto, un nome. Ma l’uomo sa che in natura non esiste la fretta. Attenderà con pazienza che la neve liberi una ragionevole porzione di corpo, dopo di che deciderà di nasconderlo in una vecchia miniera di manganese. Si convincerà, Adelmo, che si tratta del guardiacaccia, salito troppe volte a fare domande indiscrete: “Adelmo Farandola resta silenzioso. A furia di pensarci, gli sembra di ricordare di essere stato proprio lui a sparare la fucilata che ha colpito tra gli occhi l’uomo che si sta trascinando dietro”, p. 109.
Eppure il guardiacaccia riapparirà, e proprio alla ricerca di Adelmo: sorvolerà in elicottero la miniera dove l’uomo si è rintanato assieme al cadavere (anch’esso parlante) e attraverso un megafono lo pregherà di palesarsi. Allora Farandola dovrà abbandonare la propria convinzione:
“- Ma chi sei tu?
[…]
– Ha davvero importanza chi sono?
– Sì, per me. Ti ho ucciso io?
– Potrebbe essere. Ma no, non mi pare, non direi proprio. Ricordo solo un colpo in testa – bisbiglia il morto. – Una breve fitta qui, tra un occhio e l’altro. Un male che non ti dico. Ma è durato poco, pochissimo”, p. 125.
Perché solo nelle rappresentazioni umane, ma non in natura, esistono eventi clamorosi o inquietanti, esistono innocenti e colpevoli, esistono le categorie e le interpretazioni.
In natura, semplicemente, tutto succede.

(Claudio Bagnasco, Gli Squadernauti)

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