Insomma, quel cane giorno dopo giorno gli rimane tra i piedi. Adelmo Farandola lo lascia al di là della porta, quando fa buio, e sente il cane uggiolare a lungo, ogni sera, prima di appallottolarsi rassegnato a dormire sulla vecchia coperta che gli ha messo fuori. A volte, di notte, lo sente abbaiare al passaggio di qualche bestia – una donnola, o una lepre. Il cane abbaia fino a sgolarsi, ma non abbandona la casa per correre dietro alle prede. Ha capito in fretta che conviene aspettare che l’uomo gli lanci qualche avanzo dei suoi pasti, piuttosto che inseguire invano animali troppo veloci, e rischiare la vita sui costoni rocciosi, o beccarsi una zoccolata sul muso. È un cane a suo modo saggio, o forse è soltanto vecchio, e il suo disincanto è solo l’effetto del venir meno delle forze. Talora, per premiarlo di questa sua arrendevolezza, Adelmo Farandola lo lascia entrare in casa, dove il cane annusa tutto, avidamente. L’uomo non sente più odori da un pezzo, da quando ha smesso di lavarsi si è anche anestetizzato ai propri odori, e le scoregge che lancia di notte sotto le coperte sono solo carezze di caldo, che tiene vive con un’adeguata alimentazione. Stupisce nel vedere il cane che annusa tutto, non si capacita che ci siano tanti odori in giro. Il cane si sofferma anche ad annusare l’uomo, le scarpe, le caviglie, grato di questi odori che sembrano nutrirlo come bocconi. Un giorno Adelmo Farandola si sorprende a parlare al cane. – Fa’ così, fa’ cosà – gli sta dicendo. Gli racconta di questo o di quello. Gli chiede se ha visto in giro per la baita una cosa che non gli riesce più di trovare. Gli parla della neve che si accumulerà fuori per tutto l’inverno, così tanto che non si vedrà nemmeno più perché tutto sarà neve, e loro saranno sepolti nella casa e il tetto in tensione sarà carico di neve e rischierà di sfondarsi da un momento all’altro. Glielo dice per vedere come reagisce, per vedere se si spaventa. Il cane drizza le orecchie, tira fuori la lingua rossa, ha un brillio negli occhi. Se avesse la coda la agiterebbe come fanno tutti i cani che hanno la coda. Adelmo Farandola gli allunga un boccone e gli dice: – Buono, vero? – Oppure: – Il pane l’altr’anno era meglio. Il cane oscilla la testa, respira forte, come se stesse per parlare anche lui. – L’altr’anno il pane era dolce e buono – dice l’uomo. – Dolce e buono. Ne prendi un boccone e lo pucci nel vino. Così. Glielo fa vedere. Il cane non si perde un gesto. – Poi si prende il boccone e si fa così. – Con le dita sgocciolanti di vino, Adelmo Farandola si ficca in bocca il boccone impregnato. Un gusto delicato, lontano, gli invade le fauci. Se non avesse smesso di lavarsi i denti anni prima, quel gusto sarebbe forte, acre, invadente, ma sugli ultimi denti incrostati e sulla lingua rivestita di bianco ora il sapore scivola veloce, lontano. – Che buono – si compiace Adelmo Farandola, guardando dritto negli occhi brillanti il cane seduto dinanzi a lui. – Che buono. La lingua del cane sgocciola come un rubinetto che perde, e la bava si deposita a terra in una chiazza sempre più larga. Al secondo boccone intinto nel vino, il cane comincia a inghiottire bocconi immaginari. – Potrei assaggiare anch’io? – chiede finalmente all’uomo. – No – dice Adelmo Farandola, che attacca con il terzo boccone. – Solo un pezzetto – dice il cane. – Ti prego. Solo un pezzetto piccolissimo. – No. – Solo per farmi un’idea. Come posso sapere se quello che dici è vero se non assaggio? – Tu fidati. – Preferirei sperimentare di persona.

Adelmo Farandola non si reca spesso in paese. Vive in montagna, sta assai bene nella sua baita. È un po’ scorbutico e senza troppa memoria. Dunque irresistibile. Scende a valle solo quando ha bisogno di provviste. Fa scorta, di modo da ridurre al minimo il contatto con gli altri umani o presunti tali, che non devono piacergli poi di troppo, e di sicuro gli sono meno graditi del profilo scabro e svettante delle sue Alpi. La sua esistenza scorre in base alla natura, al suo ciclo regolare. Con lui c’è un cane. Con cui parla. E il cane risponde. Ma non è questa la cosa più irregolare, nel ciclo degli eventi. Bensì il fatto che il disgelo faccia venire a galla in mezzo ai monti un piede umano. Surreale, grottesco e allegorico, è da leggere.

(Gabriele Ottaviani, Convenzionali)

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