Riconoscimento nella sezione Narrativa
“NEVE, CANE, PIEDE” IL ROMANZO DI MORANDINI VINCE IL PREMIO PROCIDA

Gaetano Lo Presti, Aosta

È un riconoscimento importante il «Premio Procida-Isola di Arturo – Elsa Morante» che da 29 anni si tiene nell’isola flegrea. Basti scorrere il glorioso palmarès dei vincitori o i nomi della giuria tecnica che ha selezionato la terna dei finalisti (dal critico Gabriele Pedullà a Filippo La Porta). Si distingue, inoltre, per essere uno dei pochi premi italiani che gratifica la sperimentazione letteraria filtrata dal gusto popolare di una giuria composta da 52 lettori procidani di ogni età ed estrazione sociale. Sono tutti motivi che rendono ancor più lusinghiera l’affermazione, nella sezione Narrativa, del romanzo «Neve, cane, piede» dello scrittore aostano Claudio Morandini, che il 24 settembre, ha ricevuto il premio nella chiesa di Santa Margherita Nuova di Procida. Il cinquantaseienne insegnante di Lettere del liceo scientifico Bérard (ma, anche, disegnatore a china, musicista e autore di programmi radiofonici e monologhi teatrali) non è del resto nuovo ad affermazioni, visto che il suo «A gran giornate» nel 2013 ha vinto il premio letterario «Città di Trebisacce».
«Nei sei romanzi che ho scritto in questi dieci anni ho cercato sempre di cambiare – spiega -. Situazioni e personaggi, ma, anche, generi. Sono, così, riuscito a mettere sempre più a fuoco una mia voce personale fatta di scelte ma anche di rinunce, di ispirazioni ma anche distacchi da modelli prestabiliti». Difficile, infatti, inserire «Neve, cane, piede» in un genere. Per l’ambientazione in un isolato vallone alpino richiama certi romanzi di montagna della letteratura svizzera, in particolare a quelli di Charles-Ferdinand Ramuz, o di certi autori di lingua romancia.
Tipico di Morandini è, invece, il surreale gioco che inscena tra l’allucinato eremita Adelmo Farandola, un cane petulante e chiacchierone ed un cadavere che arriva con una delle tante valanghe che si abbattono sulla vallata. «E’ tutt’altro che un romanzo del silenzio convenzionale degli ambienti alpini, in questo romanzo tutto e tutti parlano. Inseriti in una situazione di confine in cui la vita si confonde con la morte, gli esseri inanimati diventano animati e viceversa, e l’alto si confonde con il basso, per cui la montagna viene raccontata come uno sprofondamento».
Uomo di pianura e di città, per la prima volta Morandini si è cimentato con la montagna, riuscendo a strapparla all’oleografia ed al tradizionalismo con la quale troppo spesso in Valle, e non solo, la si racconta. «L’autore si deve misurare con la tradizione, litigandoci magari, perché non deve per forza essere un epigono o un manierista. Volevo scrivere un romanzo di montagna, perché era un ambiente che andava scoperto attraverso le parole giuste, senza, però, legarlo alla Valle. Per cui sono contento che, quando l’ho presentato a Catania, i lettori mi abbiano detto che avrebbe potuto benissimo essere ambientato sull’Etna».

(Gaetano Lo Presti, La Stampa, 5/10/2016)

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