Claudio Morandini, scrittore e musicista, si racconta
«Quelle piccole digressioni con imprevedibili sviluppi»

“Più vero del vero!” ripete padre Carbone, responsabile diocesano per l’insegnamento della religione. E, intanto, costringe Nora, insegnante di religione, ad assistere alla presentazione di un macabro programma informatico che dovrebbe “sensibilizzare” gli alunni contro l’aborto. Il che vuol dire sorbirsi una serie di braccia e gambette di feti galleggianti in una brodaglia nera. Il tutto reso ancor più inquietante dalla ricostruzione computer-grafica ad altissima definizione. “Più vero del vero!”, in modo che la visione del martirio di quei poveri feti susciti negli allievi “un senso di riprovazione mille volte più radicale”. Così inizia “Nora e le ombre”, il romanzo dell’aostano Claudio Morandini appena pubblicato dall’editore Palomar di Bari. E immediatamente si viene coinvolti nell’atmosfera cinicamente surreale di un libro nel quale, su uno sfondo pessimisticamente “nero”, fluttuano pezzi di storia che l’autore incrocia giocando soprattutto sui contrasti.
«Nel romanzo – spiega Morandini – le situazioni nascono dal contrasto, dalla nota stonata, dall’arrivo imprevisto, dalla situazione inconciliabile. Il tutto, poi, è legato al caso. Ci sono una serie di coincidenze mancate o di situazioni intricate che finiscono per dare una visione del mondo essenzialmente pessimistica e senza speranza. Nel libro ho, poi, fatto un uso massiccio dei dialoghi, perché è attraverso di essi che i personaggi si “tradiscono”, facendo emergere aspetti che non vorrebbero rivelare. Mi piace molto giocare sul lapsus, sulla gaffe, sull’errore perché esprimono i lati irrisolti e le contraddizioni inconsce dei personaggi. Per l’uso dei dialoghi è stato fondamentale l’influsso di Harold Pinter che lavorava molto sul non detto, sui tempi morti e sulle frasi fatte». Il risultato è una sorta di ghost story, in cui atmosfere gotiche si confondono con una non meno inquietante realtà dei nostri giorni. Anche perché ad accomunarle è la presenza di “ombre”.
«Con la parola ombre – continua Morandini – definisco da una parte le figure di anime penitenti che, intorno alla metà dell’Ottocento, tormentavano la mente ed i diari della coprotagonista del romanzo – la contessina Aurora – dall’altra quella serie di elementi irrisolti e figure inquietanti che, ai giorni nostri, ruotano intorno a Nora, che i diari di Aurora sta studiando. Le ombre per me sono l’enigma, la parte incomprensibile ed inspiegabile di qualunque persona o situazione. Nel romanzo arrivo a mostrare l’enigma in tutta la sua grandezza, lasciandolo, però, alla fine in sospeso. Perché una delle cose più tristi dei romanzi a tesi o di genere è vedere che nell’ultimo capitolo si cerca una soluzione che non è mai all’altezza della premessa, ma, anzi, ne è spesso una banalizzazione. Io, invece, ho messo dentro il romanzo tutta una serie di premesse che, poi, ho lasciato lì. In questo modo le situazioni si ricreano da capo, ed è come se ogni capitolo fosse il primo. Con un lento digradare verso il peggio senza una soluzione o un colpo di scena finale». Più che l’originalità Morandini sembra ricercare l’”originarietà”, grazie ad un côté esistenziale che viene fuori da personaggi che pensano, rimuginano, si tormentano e continuano a scervellarsi su quello che capita o potrebbe loro capitare. Filtrata dalla sua “lente del sospetto” appare, così, in tutto il suo ridicolo una società nella quale il mondo reale, persa la sua forza vitale, soccombe alla sua messa in scena. Lasciando un vuoto che finisce per essere occupato dai suoi simulacri, reali o “ombre” che siano. «Un romanzo inquietante, morboso, cinico e divertente», così ha definito “Nora e le ombre” il giornalista Rai Giulio Cappa. Aggettivi – chiediamo – che si adattano anche all’autore? «Morboso non credo – risponde Morandini – inquietante involontariamente, divertente a volte. Che sia cinico me lo dicono in molti, ma invecchiando lo sono sempre meno. Anzi sto diventando sempre più sentimentale. Dovessi scriverlo oggi il romanzo sarebbe diverso, con un atteggiamento più compassionevole, cercando di far sentire la solidarietà tra disgraziati». Insegnante di Italiano al Liceo Scientifico di Aosta, Morandini è anche disegnatore (a china), autore di programmi radiofonici e di monologhi teatrali e, soprattutto, musicista. Con Simone “Momo” Riva forma, infatti, i “CommandmentZ”. Il duo, nato come gruppo di studio nell’estate del 2005, ha fatto la sua prima apparizione pubblica il 25 febbraio 2006 al Palais di Saint-Vincent. Esperienza ripetuta il 28 aprile 2006 al “Tavagnasco Rock Festival”, dove il gruppo ha aperto il concerto degli “Africa Unite”. I “CommandmentZ” nudi e crudi si possono, invece, ascoltare nei numerosi Cd demo in cui sono soliti riversare frammenti di torrenziali sedute di improvvisazione in studio, nelle quali i ritmi della batteria di Simone Riva (anche bassista e chitarrista) innervano la “bizarre imagination” e la sapienza classico-jazz delle tastiere di Morandini. «Anche in musica prendo dei frammenti sparsi cercando di dare loro un senso grazie al collante del funk più nobile, quello che ha inspirato la svolta elettrica di Miles Davis. Il funk è un gigantesco contenitore di stili diversi che mi permette di passare da un genere all’altro senza rimanerne invischiato. Anche qui giocando sui contrasti. E sempre con quell’approccio obliquo che, in fondo, è il trait d’union delle cose che faccio: quel modo, cioè, di procedere per piccole digressioni che porta a imprevedibili sviluppi».

(Gaetano Lo Presti, La Vallée Notizie, 3 marzo 2007)

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