L’uomo del vallone parla solo con il cane

Da Corona a Cognetti la montagna ha assunto – con successo – il ruolo di metafora della ricerca di sé. Il racconto di Morandini sfrutta però atmosfere più buzzatiane, fra inconsce aspirazioni eremitiche e deliri dettati da oscure follie. Lo scenario è quello dei silenzi e delle ritrosie montanare, espresse dalla figura del vecchio Adelmo Farandola, che vive una sua solitudine quasi estrema tra boschi e valloni, lontano dalle voci del mondo. Anche se quelle voci lui le crea, le trova, le inventa, nella natura e negli animali, come quando incontra un cane con cui dialoga ed esprime dubbi spesso spezzettati da una memoria confusa e dispersiva. Adelmo è restio al contatto umano, trascorre l’inverno in compagnia del cane misterioso, e quando dal disgelo spunta un piede umano, il vecchio è convinto che si tratti del guardiacaccia che spesso tormentava la sua solitudine e che adesso crede di aver ucciso. Misteri dettati da una mente obliqua, dove natura e ricordi – la guerra, il nascondiglio in miniera – si confondono in un gioco di paradossi dettati da un isolamento quasi patologico. La neve, il cane, il piede: enigmi di un disagio cosmico racchiuso in una natura selvaggia, generosa quanto ostile, dove tra pace e silenzio trovano spazio fantasie e leggende.

(Sergio Pent, TuttoLibri de La Stampa, 25 febbraio 2017)

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