È un piccolo capriccio invernale l’ultimo romanzo dell’aostano Claudio Morandini, che andrebbe gustato al riparo, in poltrona, per meglio misurare la distanza col mondo di ghiaccio e roccia di cui si nutre. Il paesaggio è il primo grande protagonista di Neve, cane, piede, un paesaggio montano minimale e aspro, frastagliato ed essenziale come il titolo del libro. 
Il secondo è Adelmo Farandola, personaggio dal “nome per metà improbabile” (p. 131) che, dietro la maschera del vecchio solitario e scontroso, rivela fragilità e confusione: vive ritirato in un vallone d’alta montagna, in cui solo presenze vegetali e animali -vedi alla voce: cane parlante- sono ammesse.  
Adelmo Farandola ha scoperto i vantaggi della solitudine da giovane durante un lungo periodo  di fuga tra i boschi, dirupi e miniere abbandonate, del quale serba ricordi lontani e imprecisi. Erano anni di guerra, in cui le vallate erano battute da uomini incappottati che masticando parole incomprensibili mettevano in fila quelli che gli capitavano tra i piedi e li fucilavano senza tante storie. Era fuggito sui monti, Adelmo Farandola, come molti altri […] ; ma lui si era isolato subito, tra le malghe evacuate e le vecchie miniere celate dalle ceppaie, senza mangiare per giorni, se non qualche bacca, qualche erba che conosceva” (p. 55).   
Il tempo scorre per Adelmo fra l’accumulo di provviste, caustici dialoghi col cane e la crescente consapevolezza di un corpo sempre più stanco e affaticato. I duri mesi invernali scivolano sulla sua baita, sprofondata in un torpore spettrale e dolce, sotto lo spessore della neve, tra il razionamento del cibo e l’attesa del disgelo; non stupirà il progressivo inselvatichirsi dell’uomo, perché è necessario farsi bestia fra le bestie per sopravvivere in quota. 
Da molti mesi Adelmo Farandola non si lava, e lascia che il tanfo gli crei attorno un’aura di calore. Placidamente gli si incrostano addosso il sudore con lo sporco, la terra portata dal vento, la polvere che si solleva nella stalla, i pollini che colorano l’aria in certi periodi dell’anno” (p. 31).
Quali saranno le conseguenze dell’isolamento totale, del rifiuto di qualsiasi contatto con la società? Fino a che punto può essere condotta e può condurre una simile negazione?
Morandini si confronta con un’area non ancora esplorata nella sua produzione: la letteratura di montagna, nutrita del confronto con la lezione di Ramuz e dei maestri della svizzera romancia, in una scrittura costantemente sorvegliata e capace di modularsi sugli opposti toni di lirico e grottesco.
(Miriam Begliuomini, La Biblioteca di Babele)
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