Case, campi, torrenti: arriva l’invasione delle pietre

di Sergio Pent

Claudio Morandini è uno scrittore che sa sognare. Uno spirito di confine che cesella le sue fiabe con la leggerezza della leggenda, incurante di mode e mercati, abbarbicato a una di quelle ispirazioni appartate che talvolta generano storie limpide e universali. Originario della Val d’Aosta, vagheggia moduli narrativi vicini a Beckett e al nostro Buzzati, nel territorio delle letterature ibride e difficili da inquadrare in un contesto epocale. Ma balzano in mente anche i nomi di Landolfi e del Calvino delleCosmicomiche, e personalmente vedrei bene le storie di Morandini accanto a quelle di certi «folli» padani come il primo Celati, oppure Cavazzoni, Cornia, con qualche eco del grande minimalista ante litteram Tonino Guerra. Gratificato – per assurdo – da un’iniziativa mediatica come «Modus legendi» che ha issato in classifica per il rapido tempo di un acquisto di massa il suo precedente racconto -Neve, cane, piede­ Morandini torna in campo con un’opera per cui il termine «surreale» suona come un banale punto di riferimento.Le pietreè un romanzo corale – o morale, cambiando per scherzo una sola consonante – che nasconde più di quello che rivela, anche perché la sostanza delle storie di Morandini risiede in un continuo ammiccamento nei confronti del lettore, che in qualche modo ha il dovere -ma anche il piacere – di scoprire metafore, significati, messaggi occulti, là dove forse – questo il paradosso – l’autore cerca solo un divertissement goliardico in omaggio a una sterminata letteratura fuori dagli schemi.Non sapremo mai veramente il motivo per cui i due piccoli abitati di Testagno -il paese in alta quota – e Sostigno -il centro più a valle – siano ormai invasi da decenni da eserciti di pietre che si muovono, si spostano da sole o in gruppo, crescono, entrano nelle case, devastano campi, modificano le anse dei torrenti e condizionano la vita della gente, come una pestilenza allo stato solido radicata in un contesto umano ai confini della civiltà. Non è una questione geologica, semmai uno scherzo dell’immaginario collettivo divenuto quasi un emblema locale – un modo d’essere – ma ciò che nascondono questi spostamenti continui di ghiaia, ciottoli e blocchi consistenti, non è dato di saperlo. Tutto sembra risalire a tempi remoti – i più giovani, ormai acciaccati, ne conservano una memoria confusa – quando le prime avvisaglie della silenziosa «invasione» comparvero nel soggiorno di Villa Agnese, la più bella casetta di Sostigno, abitata da due coniugi anzianotti venuti dalla città, la maestra Agnese e il marito Ettore Saponara. Le pietre invadono gradualmente casa Saponara, impediscono l’accesso a chiunque, si modellano in forme diverse, mentre gli abitanti di Sostigno lanciano al vento supposizioni da bar, dalla possessione demoniaca alla presenza «estranea» dei Saponara, persone deliziose ma non appartenenti al contesto piuttosto emarginato del posto. Neanche le prediche e gli scongiuri del prete, Don Danilo, giovano alla causa, così come il tentativo di trasferire gli abitanti più in alto, tra i pascoli di Testagno, dove però una frana quasi biblica nel messaggio catastrofico seppellisce tutti i capi di bestiame della comunità. Maghi, giornalisti e curiosi tentano invano di spiegare il fenomeno: le pietre ormai modellano la geografia del luogo, lo abitano da ospiti invadenti e alla fine – appunto – diventano un modo d’essere, un’opportunità di convivenza, una presenza aliena che può essere letta – volendo – come la metafora di un’invasione incomprensibile, mal digerita ma comunque pazientemente accettata. In questa dinamica di significati occulti e onnicomprensivi, il racconto scivola leggero e scanzonato, rotola verso un finale aperto, come una pietra che a sua volta rotola in discesa senza sapere dove andrà a terminare la sua corsa.

(Sergio Pent, Tuttolibri di La Stampa, 20 maggio 2017)

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