Sotto una pioggia di sassi
Dove la narrativa tradizionale indaga le relazioni che si vengono a costruire o disfare tra esser in carne ed ossa, approfondendone i contorni, Morandini sposta l’angolo di percezione, ribalta la prospettiva e decide di studiare, mettendoli in scena, i rapporti tra i sassi e gli uomini di montagna raccontando storie da focolare e da famiglia campagnola che sanno spaziare dalla tragicità della morte (che nonostante tutto riesce ad essere incredibilmente comica) fino alla creduloneria degli autoctoni.Le pietre sono anch’esse abitanti o forse sono esse stesse gli abitanti del luogo e dei luoghi visto che, a differenza dell’esile e fragile esistenza umana, esse sono quasi eterne. Immortali.Hanno visto passare centinaia di generazioni di uomini e animali, hanno assistito all’alternarsi delle ere geologiche. Sono vecchie come la Terra perché le pietre sono la Terra. È ancora una volta surreale, quasi incredibile, il mondo che viene raccontato poiché dopo il cane parlante, fedele compagno dei soliloqui mentali di Adelmo Farandola (Neve, cane, piede), è il turno delle pietre di animarsi, prendere vita, diventare sostanza dell’esistenza dei paesani, sia quando essi sono su a Testagno o giù a Sostigno. Perché si, questi montanari che vivono fuori dal mondo si spostano in alto o in basso a seconda delle stagioni, del tempo, delle necessità di sopravvivenza, dello spostamento dei fiumi (anch’essi si muovono senza una logica apparente) e naturalmente delle pietre. Un mondo semplice ma intenso nella sua genuinità. “Una risata vi seppellirà“ scrisse Bakunin. Nell’ultima fatica di Morandini saranno le pietre a seppellirvi con una pioggia inarrestabile di sassi, massi, sassolini, ghiaietti e chi più ne ha più ne metta. L’operazione che l’autore imbastisce in Le pietre consiste in una trasfigurazione dell’immobilità che parrebbe a tratti un elogio della lentezza e al contempo un’allerta ai naviganti sulla suscettibilità delle vecchie pietre. L’autore racconta una convivenza fuori dagli schemi trasformando con la bacchetta magica i minerali più immobili e immoti dell’universo in esseri apparentemente senzienti, dotati di una propria volontà di azione.
Le pietre rappresentano, nell’importanza capitale che ricoprono all’interno del testo, la cartina al tornasole delle relazioni umane: c’è chi le disprezza e le maledice, chi ne tra un business economico che si rivela un disastro, chi le usa in cucina per “salare” la minestra e chi preferisce trasformarle pitturandole in souvenir vagamente pacchiani. C’è chi le usa in gare tra pietre che durano decenni e chi ravvisa in esse la presenza di un’entità maligna. Le pietre sono dunque un espediente narrativo con cui vengono descritti i rapporti, i comportamenti, le reazioni, le discordie, le connivenze, gli intrecci familiari, le dinamiche che fanno tale una società, intesa, nel senso più ampio del termine, quale gruppo di persone che vivono e convivono in un territorio. Tutti coloro che hanno amato Neve, cane, piede non potranno non tributare gli stessi sentimenti anche a questo libro in cui l’autore, ancora una volta, riserva alla montagna uno sguardo benevolo, ammirato e innamorato e in cui si ritrova lo stile di Morandini. asciutto, preciso, proteso verso la ricerca della ‘parola esatta’ e questo suo cercare, questa precisione voluta leviga la prosa esattamente come il moto perpetuo di un fiume o di un ingovernabile torrente montano leviga le pietre dando loro forme ovali e ordinate. Oggetti di design; non può forse essere definito design letterario lo stile di Morandini? Il narratore in prima persona cerca di raccontare al lettore, violando qualsiasi rapporto tra fabula e intreccio e mescolando il presente con il passato, l’origine delle pietre. Cioè il momento esatto in cui le pietre sono entrate definitivamente nella vita degli abitanti di Sostigno “e non se ne sono più andate” . In origine, almeno stando alle parole di un narratore onnisciente tutt’altro che affidabile, furono Agnese ed Ettore Saponara. La coppia proveniente dalla città si insediò in una villetta fatta costruire apposta in un paese composto di abitazioni fatte di massi, calce e pietre. Un giorno come tanti altri al centro del loro ammodernato soggiorno compare misteriosamente dal nulla un mucchietto di polvere che Agnese, la maestra del paese, provvede prontamente a raccogliere con la scopa e buttare via. Il problema è che nei giorni che seguono alla polvere si sostituisce dapprima un sasso e, in sequenza crescente e regolare, una catasta di altri sassi che finiscono per sequestrare il soggiorno dei Saponara costringendoli a vivere nelle restanti stanza della casa. Non passa molto tempo prima che la notizia si sparga per Sostigno e le vallate circostanti assurgendo anche agli onori delle cronache nazionali. Il fenomeno misterioso diventa oggetto di sussurrii e bisbigli che prendono la forma nelle parole di Don Danilo di uno scherzo del Maligno, si trasforma in un’attrazione turistica che richiama curiosi, geologi, esoterici, esperti dell’occulto e un carosello di inutili ciarlatani e finisce per gettare nella disperazione e nella vergogna la fragile Agnese la quale non riesce a darsi una spiegazione della sciagura che le è letteralmente piombata in casa. Attorno a questo punto di origine scaturiscono una serie di vicissitudini, fatti e fattucoli da aneddoto che contribuiscono a rendere frizzante e gradevole l’intera narrazione che si presenta come un accavallamento tra la storia dei Saponara e le conseguenze dell’arrivo delle pietre.
“A proposito, alle volte mi chiedo da quanto non ci fermiamo a guardare le montagne con calma. […] Io li ricordo i prati immobili di quando stavo ai pascoli di Testagno, i silenzi leggeri, ricordo quel senso di nobiltà sere a imperturbabile che ci davano le grandi rocce appese ai picchi, il divertimento che provavamo a seguire con gli occhi i salti delle capre che a quelle rocce sembravano appese, le planate dei grandi uccelli in cerca del pranzo.”
(Francesco Martinuz, Cultarena)