Quando le pietre prendono vita. Il nuovo romanzo di Claudio Morandini

Dopo Neve, cane, piede, il romanzo vincitore del Premio Procida-Isola di Arturo Elsa Morante 2016 e che i lettori hanno votato di più per Modus Legendi 2017, Claudio Morandini torna con Le Pietre.
A Sostigno e a Testagno, «villaggio a valle» e «villaggio a monte», le punte rocciose accorciano le giornate con la loro altezza, perché qui il cielo ingoia il sole prima di quanto non lo faccia in pianura. Ma di contro in questo spazio pensato in verticale, le ore si allungano e il mondo di sotto arriva libero dalla velocità e dall’ansia che la montagna per principio rifiuta. Non sempre però. Non quando l’immobilità si ribella e diventa azione, movimento, scontro. Le pietre prendono vita e i loro corpi di minerali ruvidi e imperfetti, allisciati qualche volta dall’acqua o dagli anni, si impongono contro la natura che li ha voluti fermi e silenziosi. I ricercatori le studiano e insegnano agli abitanti a parlare per bene, a indicare il fenomeno con i vocaboli che usa la scienza, perché il caso è curioso e merita parole esatte.
Lo sanno anche Ettore e Agnese Saponara, forse i primi ad accogliere con terrore lo slancio vitale delle pietre. Proprio loro, due cittadini in cerca di riposo lontano dalla frenesia dei centri popolati, devono riconoscere quanto il fatto sia strano. Nel salotto di villa Agnese le pietre diventano padrone e soprattutto dominatrici di ogni stato d’animo della coppia. Della loro paura quando le sentono battere contro i muri o raschiare la porta come se avessero artigli, della loro tranquillità quando i rumori concedono una tregua al silenzio.
Le pietre arriveranno anche a trasformare il credo religioso dei Saponara nella credulità dei disperati che cedono alla tentazione della superstizione. Chiedono aiuto a chiunque possa avvicinarsi alla risoluzione dell’enigma, anche se nessuno può fare a meno di lasciarsi vincere dalla sensazione di impotenza:

«Nella vita delle pietre, perché di vita sembrava proprio che si trattasse, non percepiva però nulla di riconoscibile. Solo una testarda, cieca volontà di esserci, e di rompere le balle».

 La volontà coincide con l’azione di percorrere una linea e seguirla fino alla fine. È impulso guidato dalla necessità di raggiungere uno scopo. È infine intenzionalità a fare qualcosa.Ma anche a pensare qualcosa. Agire, in teoria, significa per forza pensare. Le pietre di Claudio Morandini scelgono chi prendere di mira e si fissano quasi avessero la capacità di selezionare i contenuti della realtà, come farebbe qualsiasi essere in grado di pensare. Non sembrano vincolate a un’entità superiore che le sfrutta per punire gli uomini, perché fin dal principio si percepisce la loro autonomia. Anzi potrebbe sorgere il dubbio che quello delle pietre sia un piano personale e vendicativo, messo in atto per riscattare la propria condizione di passività. Ma attenzione, è sempre il punto di vista dell’uomo:

«A volte, dall’alto delle montagne, ci colpiscono raggi intensi, che ci costringono a distogliere lo sguardo. È il sole che viene riflesso dall’anima metallica delle rocce e proiettato fin dentro alle nostre case».

Il narratore, che potrebbe essere uno o che potrebbero essere molti, vede i fatti dall’alto e allo stesso tempo li conosce dall’interno, come le pietre che arrivano da sopra e guardano da vicino gli eventi. Chi racconta non ha identità e a volte scompare dietro gli aneddoti per lasciarsi dimenticare, mentre continua a muoversi tra le stanze dei Saponara con la scusa che la loro ormai è la storia di tutti. La comunica a noi lettori, stranieri per non aver mai messo piede né a Sostigno e né a Testagno.
Così anche chi legge si riconosce in un “noi”, che però sta dalla parte di chi non può comprendere davvero quanto sia stressante rapportarsi con pietre non pacifiche. Noi abitiamo le pianure, vediamo il sole sorgere prima e tramontare più tardi. Questa lontananza, che si sviluppa in altezza, non genera il desiderio di compatire, ma di indagare cosa potrebbe passare per la testa delle Pietre di Claudio Morandini.

(Elisabetta Rizzo, Sul Romanzo)

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