La montagna debole è quella raccontata dallo scrittore aostano in una prova satirica e con un risvolto fortemente parodistico. I diversi narratori, ovvero il coro di montanari che assistono allo strano fenomeno delle pietre semoventi che inesorabilmente invadono gli abitati di Testagno e Soligno, quello sopra e quello di sotto, sono testimoni divertiti, e per nulla spaventati, di un cambiamento ecologico epocale. Addirittura la morfologia della montagna sta mutando tanto da diventare, un giorno, una linea piatta.

Quelli di città
I coniugi Saponara, Ettore e Agnese, le due vere vittime del maleficio, sono gli unici intellettuali dei dintorni. Vivono a Villa Agnese, la casa più bella della zona ed è proprio nel loro soggiorno che rinvengono la prima pietra, cui ne seguono, come se fossero fabbricate da un dio molesto, una moltitudine di altre. Ormai barricati in casa, i due non possono che confessarsi i reciproci segreti, i tradimenti, le ombre più nere che gravano sul loro animo. Decisi ad andarsene, i Saponara, senza grandi rimpianti da parte di tutti gli altri abitanti, se ne vanno al mare.

Giornalisti voyeur
Naturalmente arriva in paese il solito giornalista dagli occhi bendati e dalla penna in cerca di spettacolo. Quando chiede ai pochi abitanti rimasti se si sentano “i reietti della montagna”, essi rispondono stupiti che loro lì restano per inerzia, per abitudine, tutte ottime ragioni per non abbandonare un luogo, anche se poco riconoscibile rispetto a quello che hanno conosciuto.
Claudio Morandini, con felicità di scrittura, senso dell’umorismo e vena visionaria, inquadra una montagna stravolta nei suoi stessi elementi portanti: le pietre. Ma lo fa senza rammarico, provando a riderci su e facendosi gioco di tanti sedicenti antropologi e architetti che vorrebbero che il tempo si fermasse per sempre.

(Camilla Valletti, La Stampa-Montagna)

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