Gli è rimasta incollata addosso, la montagna, dopo che Claudio Morandini l’ha abitata nei panni di Adelmo Farandola, lo scontroso eremita di Neve, cane, piede, romanzo che dal 2015 continua a vivere mietendo successi internazionali. Quest’altro romanzo non ha lo stesso potere drammatico e visionario, nonostante gli avvenimenti siano visionari nella sostanza, e sufficientemente drammatici negli sviluppi. Ancora la montagna, dunque, ma da una diversa angolazione. Tanto la vita di Adelmo era solitaria, tanto è collettiva e corale l’azione di quest’altra storia, che ha come soggetto un intero paese.
I piccoli paesi di montagna a volte sembrano condurre una vita immutabile, fuori dal tempo, e anche chi se ne allontana provvisoriamente finisce per essere risucchiato, nei suoi rientri, all’interno di una bolla statica. Il mito di Shangri-La è il volto glorioso di questo aspetto, che nella realtà può essere diversamente interpretato come arretratezza insanabile o oasi di genuinità e di pace. Nel frattempo le cose sono un po’ cambiate, e il destino dei borghi che non si evolvono in senso tecnico e commerciale è spesso l’abbandono. Non paradisi terrestri, dunque, ma dimore di fantasmi. Questa premessa è per me un modo di ricostruire, se non di interpretare, la genesi della storia. Vi si racconta di un fenomeno inspiegabile che colpisce un paese di montagna, in cui pietre grandi e piccole cominciano a muoversi in maniera autonoma, talvolta subdola, più spesso violenta, causando paura e danni materiali. Una delle conseguenze è che la transumanza, che in origine si svolgeva due volte l’anno per raggiungere o lasciare gli alpeggi di alta quota, diventa un viavai continuo nel tentativo di sottrarsi all’imperversare delle pietre. Una storia surreale, che trae tuttavia ispirazione da un’antica cronaca del Seicento. Il fenomeno in sé non è però il punto focale dell’Autore, che invece ne approfitta per stare a guardare quello che succede nella piccola comunità, proprio come fa chi, gettando un sasso in uno stagno (la metafora è più che mai pertinente!) si diverte a osservare i cerchi concentrici che via via si allargano. Il punto del primo impatto, nel caso di Sostigno (e dell’equivalente alpestre Testagno), è la casa di due attempati coniugi dediti all’insegnamento, che per certi aspetti rappresentano il punto debole di quel tessuto sociale. Come si sa in un piccolo centro il punto debole non è per esempio lo scemo del villaggio, che anzi gode di un solido status, ma il “forestiero”, la persona che, per quanto ben inserita, non può vantare origini locali.
Ogni tanto il Saponara lo si vedeva anche in osteria, da Ramiro. Entrava e si sentiva in dovere di offrire un cicchetto a tutti. Lo ordinava a Ramiro con un tono solenne che faceva voglia di diventare astemi. Anche noialtri offriamo giri di goccetti all’osteria (…) ma mica lo urliamo all’oste. Ci avviciniamo al bancone, fingendo di trovarci lì per altro, e glielo sussurriamo. Ettore Saponara non lo sapeva, che a urlarlo così costringeva i paesani a reagire, a inventarsi scuse per rifiutare…
Dunque è in casa dei Saponara, gente di città trasferitasi a Sostigno per vivere in pace e all’aria buona, che l’inquietante fenomeno ha inizio. Stupore, incredulità, paura, tentativi di razionalizzare o minimizzare, perfino sensi di colpa: reazioni di diverso genere si alternano nell’animo dei due coniugi e poi, quando la notizia trapela all’esterno, nell’animo dei paesani, in cui comincia ad albergare anche la diffidenza. Come un test proiettivo, il fenomeno delle pietre semoventi evoca in ciascuno i propri personali fantasmi relativi alle diverse esperienze e convinzioni. Mentre frotte di geologi accorrono a studiarlo scientificamente, il parroco don Danilo lo interpreta come manifestazione del demonio, approfittando dell’occasione per dare una bella strigliata ai peccatori. Per Morandini l’occasione è doppia. Gli consente di descrivere la realtà paesana nella complessità delle relazioni sociali (raccontata in prima persona da chi all’epoca dei primi fatti era un ragazzino ed è poi cresciuto convivendo con le pietre in eterno movimento), e insieme di approfondire la psicologia degli anziani coniugi che sono il primo bersaglio.
Per il lettore, poi, è anche l’occasione per apprezzare la sua scrittura limpida, elegante e armoniosa come una musica. Uno stile che fa innamorare e che non tradisce mai.

(Giovanna Repetto, Il Paradiso degli Orchi)

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