Un posto in cui si può perdere la testa

Un racconto lungo in cui lo scrittore aostano Claudio Morandini, noto soprattutto per il recente e pluripremiato Neve, cane, piede, si mette alla prova con un nuovo pubblico, certo non meno esigente: quello dei bambini. In Le maschere di Pocacosa, l’autore si rivolge al contempo a grandi e piccini. Rivolta principalmente agli adulti è la sapiente ironia con cui Morandini si prende gioco di antropologia ed etnografi che attribuiscono alla montagna simbologie che non hanno alcun rapporto con la realtà. La vicenda narrata è invece, come giusto in un testo dedicato all’infanzia, semplice e divertente. Remigio è un ragazzino così bravo a scuola da risultare insopportabile a tutti i compagni di classe del minuscolo paese in cui vive. I compagni balletti minacciano di farlo fuori durante la festa delle maschere del carnevale, proprio quando nessuno è riconoscibile: lo tritureranno e si vendicheranno persino sui suoi genitori. Ma Remigio sa bene che il carnevale di Pocacosa è un’invenzione recente e non certo una tradizione secolare e quindi non sarà difficile sabotarlo agendo, per l’appunto, in barba alle mitologie popolari. Una bellissima armatura è la sua arma segreta, ma purtroppo viene in breve distrutta da un gruppo di rozzi montanari. Il ragazzo, ora furente con tutti, persino con i propri famigliari, fugge in alta montagna, sfidando ogni pericolo, anche quello d’incontrare Bonifacio, l’uno mostro che è lo spauracchio di tutti i bambini di Pocacosa. E invece s’imbatte in un vecchio cacciatore che lo ospita qualche giorno nella sua baita, istruendolo a dovere su che cosa sia davvero la montagna, su come si comportano gli animali in amore e soprattutto promettendogli di costruire apposta per lui un mascherone alternativo formidabile. Remigio torna al paese nascosto da un costume straordinario fatto di tutti i materiali del bosco, dentro ci nasconde le nuove potentissime armi segrete con le quali combattere i bulli: vermi, bruchi e pezzi di specchio.
Un testo per niente banale, in cui lo scrittore dimostra che quella della montagna è ben più che una moda da premio Strega di questi ultimi anni, è un mondo che può essere trasmesso con uguale passione e ironia ad adulti e bambini, insegnando e raccontando la natura senza retorica e sentimentalismi. La montagna dunque appare in questo libro per quello che è: rude, affascinante e solitaria, spesso per nulla attraente. Un posto in cui si può anche perdere la testa.

(Camilla Valletti, L’Indice dei libri del mese, settembre 2018)

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