Scherzi di Carnevale

Di sicuro Claudio Morandini conosce la montagna e i montanari e li sa raccontare; basti pensare alla minuzia realistica e poetica di Neve, cane, piede (Exòrma 2015). In questo libro scritto per la collana che Salani realizza in collaborazione con il Club Alpino Italiano, riprende la tradizione di tanti carnevali alpini, che ereditano per la maggior parte i riti tradizionali del passaggio delle stagioni e, nelle maschere che nascondono i volti dei paesani e nell’abito da albero-orso di uno dei protagonisti, pare di intravedere quei costumi da selvatico che Charles Fréger ha fotografato per il progetto Wilder Mann: i piemontesi orso di segale, di piume, di ricci, il lupo che mangia l’inverno, i mamuthones sardi, gli ursul e le capre romene, i Reisigbar tedeschi…
Perché è all’antica paura del diverso, ma anche alla libertà di fare qualunque cosa quando si è celati dietro una maschera, che si affida Remigio, dodici anni, montanaro di Pocacosa, primo della classe alle medie di Cartavetro (quando si dice omen nomen). I suoi compagni, costretti a rimanere cinque giorni in collegio, dove si esasperano e si incattiviscono per le regole e i divieti da rispettare, hanno giurato di fargliela pagare durante il Carnevale del paese, che negli anni si è trasformato nella folle possibilità di infierire, distruggere, inseguire. Remigio si è preparato un costume-armatura e quando i genitori, disapprovando, lo distruggono, scappa. Su verso la montagna, dove vive in solitudine quel Bonifacio che in paese usano per incutere paura ai piccoli, come l’orco o l’uomo nero; quell’uomo che scendeva un tempo mascherato e atteso da tutti. Bonifacio lo salva, lo cura e se lo porta appresso per qualche giorno: gli mostra le cose della natura, la loro bellezza, certe forme di collaborazione tra animali all’apparenza incompatibili; insegna a quel badalocco di ragazzino a non aver paura degli altri, a farsi invisibile, e gli costruisce un costume fenomenale, leggero, potente, fatto di foglie, rami, resina, bruchi, bacche, ossicini: un costume che serve a non temere l’incontro e che si disfa poco a poco per permettere di mostrarsi e di essere sé stessi.

(Caterina Ramonda, Andersen, dicembre 2018)

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