Tutto si può dire di Claudio Morandini tranne che sia un esordiente. Eppure in un certo senso Gli oscillanti lo possiamo considerare romanzo d’esordio nella misura in cui, dopo aver pubblicato con una serie di piccoli editori, il nostro approda a una delle majors del libro. Questo potrebbe fargli incontrare molti nuovi lettori, e non mi pare un caso che il titolo stesso di questo romanzo singolare (ma quale dei libri finora pubblicati dallo scrittore valdostano non lo è?) vada interpretato come una presentazione, come una chiave di lettura di questa storia.
Abbiamo una valle montana. Alpi? Appennino? L’autore non lo dice chiaramente: quel che è certo è che non siamo in una valle turistica, né Val Gardena né Val di Fassa. Nella valle anonima due paesi, Crottarda e Autelor: a causa della conformazione delle montagne circostanti, il primo è quasi sempre all’ombra se non al buio, il secondo invece gode della luce del sole. Un po’ in conseguenza di ciò, gli abitanti di Autelor sono più allegri ed espansivi, quelli di Crottarda decisamente scorbutici e depressi. Sembra un po’ un’allegoria, eppure l’antipatia tra le due comunità, che ogni tanto trascolora nell’odio puro e semplice, rappresenta abbastanza realisticamente certe rivalità di campanile feroce che incontriamo in tutt’Italia, e che nelle zone di montagna spesso si intensificano a livello patologico.
Arriva nella valle, più o meno negli anni Ottanta, un’etnomusicologa che vuole registrare e studiare i canti dei pastori di Crottarda, non solo per il loro valore etnologico e musicale, ma perché sembra che costituiscano un vero e proprio linguaggio tramite il quale i pecorai possono comunicare a distanza. Ma quando si trova sul posto la giovane studiosa trova che i crottardesi sono tutt’altro che ospitali e aperti. E sembra proprio che oltre a non amare i forestieri (specie se sospettati di essere in combutta con i vicini di Autelor), abbiano qualcosa – forse diverse cose – da nascondere.
Ed ecco l’oscillazione: ci sono davvero dei misteri a Crottarda o se li immagina la visitatrice? Gli abitanti del paese all’ombra sono solo buzzurri ignoranti e grossolani, o si fingono tali per difendersi dagli estranei che vogliono ficcanasare? Questa oscillazione porta la vicenda a passare continuamente da un’atmosfera di commedia grottesca ma sostanzialmente realistica (anche se d’un realismo deformante) a una sorta di gotico di montagna che declina in italiano (non solo per la lingua ma culturalmente) quelle storie fantastiche di cittadine misteriose che hanno trovato recentemente la loro massima incarnazione nel lynchiano Twin Peaks (tutte e tre le stagioni).
Mistero nel mistero, Bernardetta, una ragazza di Crottarda con la quale la protagonista instaura faticosamente un rapporto che non si sa bene se sia d’amicizia, di sorellanza, materno o cosa; Bernardetta è un’orfana, a momenti pare scema ma anche no, e non si capisce mai (oscilla pure lei!) se sia a conoscenza dei segreti di Crottarda o se ne sia stata tenuta all’oscuro; se sia una vittima delle cospirazioni paesane (sempre posto che esistano, ovviamente) o se vi partecipi. E il suo atteggiamento nei confronti della visitatrice cambia continuamente, oscillando (scusate se mi ripeto ma è così) tra ostilità, affetto, gelosia, simpatia, complicità, aggressività. Bernardetta è un mistero nell’enigma, e un personaggio talmente strano da risultare assolutamente credibile (in un certo senso, discendente di una genealogia di sbalestrati apparsi nelle precedenti opere di Morandini, il cui più noto è sicuramente il loner Adelmo Farandola di Neve cane piede).
Capirete quindi quanto possa essere forte la tentazione di leggere allegoricamente una storia come questa: soprattutto l’odio tra gli abitanti di Crottarda e Autelor fa pensare alla facilità con cui nei social media l’avvenimento più insignificante (il tweet del politico di turno) coaguli immediatamente tifoserie pro o contro che iniziano a insultarsi e minacciarsi come se ne andasse dei destini dell’umanità. Ma allora la valle è la nostra Italietta? Anche qui si oscilla tra questa lettura, e un’altra che s’accontenta di prendere i due borghi come rappresentazioni neanche tanto distorte di quelle realtà provinciali del Bel Paese che ultimamente non paiono interessare molto ai narratori più in voga (leggi: più esposti sui media). Forse Morandini vuole ricordarci che non succede tutto a Roma Firenze Napoli Bologna Milano ecc. e che molta gente non ha a che fare con Sala o Raggi ma coll’autonominato sindaco di Crottarda.
La montagna, del resto, questa sorta di inconscio geografico della nazione, è ben al centro della narrativa del nostro da qualche tempo: prima con Neve cane piede, poi con la surreale commedia Le pietre. Gli oscillanti mi sembra derivare naturalmente da queste due opere più brevi, e volendo prosegue quella serie di commedie grottesche inaugurata da A gran giornate. Non meraviglia che uno scrittore vero abbia le sue fissazioni, i suoi pezzi forti, i suoi luoghi personaggi argomenti preferiti; poi non tutti hanno la capacità, come Claudio Morandini, di giocarsi queste carte in modo sempre diverso, riuscendo quasi sempre a portarsi via il piatto, e cioè l’attenzione e l’interesse del lettore.
Ma con qualche novità. Seguo lo scrittore da undici anni, dai tempi de Le larve, e che mi ricordi questa è la prima volta che una donna sta al centro di un suo romanzo. Diciamo allora che nella mano giocata ne Gli oscillanti è entrata una regina, e così ne viene fuori una scala – reale o meno, giudichino i lettori.

(Umberto Rossi, Letteratitudine News)

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