De Gli oscillanti e dell’improvviso bisogno di montagna

Da Gli oscillanti alle piccole certezze di una quasi quarantenne

Ho letto Gli oscillanti di Claudio Morandini in due giorni. Due. Non perché non avessi altro da fare, semplicemente perché non ho potuto farne a meno. Sono finita a leggere in bagno mentre mi lavavo i denti, in un improbabile equilibrio di spazzolino in una mano e libro nell’altra, mentre cucinavo, mentre parlavo al telefono. Ho letto tanto da svegliarmi quando il libro mi sbatteva sul naso all’una di notte.

Con la chiusura dell’ultima pagina se n’è andato un mondo e diamine, è passato un mese e niente, venerdì parto per la seconda volta dal termine della lettura per un ritiro mordi e fuggi in un paese dimenticato da dio nelle Alpi. Sono rimaste tante suggestioni e alcune certezze:

1) Non si può recensire senza cuore: se lo fai si sente lontano un miglio, puzza di bruciato e di marchetta.

2) Tutti i libri che ho letto mi hanno lasciato qualcosa (quelli che ho finito, da un pezzo ho smesso di costringermi a leggere libri che non mi piacciono, la vita è troppo breve per leggere male).

3) Ci sono libri, come quello di Morandini, che non se ne vanno mai davvero dalla tua vita. Inconsapevolmente li metti nell’angolo più esposto della libreria, ogni tanto passando li accarezzi, fai attenzione che non ci si depositi la polvere, perché in fondo lo sai che li rileggerai, oh se li rileggerai!

Davvero li sento oscillare questi poveri abitanti di Crottarda, in ogni gesto, ogni giorno, e se li potessi osservare nel corso della loro vita li vedresti oscillare da quando nascono a quando muoiono, tra la loro esistenza ufficiale e il loro lato nascosto, tra il bisogno di luce, sempre troppo scarsa e precaria, e l’attrazione per il buio che li insegue fine nelle case, fin nel sonno.

 

I canti notturni dei pastori Crottardesi

Una giovane etnomusicologa, sedotta dai ricordi dell’estati dell’infanzia passate tra i monti su cui si affaccia il paese Crottarda, decide di tornare in quei luoghi per studiare i canti notturni dei pastori crottardesi, un sistema di richiami in musica con cui sembrano comunicare da una montagna all’altra.

Il viaggio è lungo, quasi estenuante, e all’arrivo si viene accolti da un improbabile comitato di benvenuto: i crottardesi vestiti con maschere spaventose.

Crottarda: un paese al buio, dove l’umidità regna sovrana e il sole se passa lo fa solo per sbaglio. Terra madida, muffe, licheni e dolore di ossa sono i compagni di vita di un villaggio fermentato nell’astio per gli “altri”. Gli altri sono quelli di Autelor, il paese dirimpettaio, su cui il sole sembra non tramontare mai. Gioiosi, rubizzi, gli abitanti di Autelor sembrano godere di tutte le gioie di cui il fato, o chi per esso, ha privato i crottardesi.

Nel mezzo di questa guerra civile la nostra protagonista, ospitata da un’anziana abitante di Crottarda, si trova a condividere i propri spazi vitali con una ragazza strampalata, ambigua, affettuosa fino all’assillo, con un’animo da bambina e forse da visionaria. È lei che la accompagna sulle montagne, è lei che involontariamente le apre gli occhi su un sommerso sul quale tutti, più o meno colpevolmente, tacciono. E poi c’è lui, l’altro forestiero, lo speleologo che studia le grotte che bucano come un punteruolo il ventre della valle e che ha scelto come punto di partenza delle proprie esplorazione la ridente Autelor. È a metà strada, in territorio neutrale, che i due studiosi possono incontrarsi e confrontarsi.

 

L’altra montagna

C’è la montagna che svetta maestosa e sempre uguale a se stessa, quella degli uomini forti, netti, potenti, ma non è questa la montagna che Morandini è riuscito a farmi amare. La montagna di cui Gli oscillanti si fa portavoce è l’altra, quella inquieta, quella degli uomini sottoposti al giogo della natura, in cui non c’è eroismo, tuttalpiù resistenza, cocciutaggine. Tra i pendii le storie attecchiscono con radici insidiose e nascoste, trovano antri in cui rinchiudersi nascoste ai più, ma non a tutti, non a chi ha orecchie per ascoltare.

Morandini porta in scena personaggi femminili profondi e reali, da cui è difficile staccarsi una volta girata l’ultima pagina. E lo so che non avrei dovuto, perché ci sono libri che sono perfetti così, chiusi in se stessi, però per un momento ci ho sperato in una nuova avventura tra le montagne crottardesi.

(Nü delle Storie, Il Loggione letterario)

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