Gli oscillanti. Qualche riflessione (seconda parte)

di Claudio Morandini

Come ho sviluppato i personaggi

Una storia vecchia come il mondo racconta di qualcuno che giunge in un luogo e a poco a poco, dopo la diffidenza iniziale, viene accolto e riesce a cambiare in meglio la vita di chi vi abita. È una storia che è bello sentirsi raccontare, e che ha attecchito anche nella letteratura per ragazzi. È la storia di Gesù, in fondo – ma non spingiamoci così in là. È anche la storia di Pollyanna, di Heidi. Ecco, la mia protagonista (e narratrice senza nome) potrebbe, agli inizi, appartenere alla categoria di queste eroine dolci e disponibili, che senza forzature, e in virtù solo della loro bontà, riescono a migliorare l’esistenza degli abitanti, altrimenti egoisti, rancorosi, tormentati, ecc. La giovane studiosa di etnomusicologia, con la sua missione catalogatrice e ordinatrice, sembra davvero poter donare un senso al piccolo caos angusto in cui si sono avvoltolati gli abitanti di Autelor e soprattutto di Crottarda. Ma qualcosa va storto: per temperamento e per fedeltà al suo ruolo di ascoltatrice imparziale, la protagonista non vuole e non sa davvero cambiare la vita dei crottardesi, anzi se ne lascia invischiare, ci si perde quasi, fino al momento in cui dovrà andarsene.
Non è propriamente un fallimento, il suo: la sua intenzione di tornare a Crottarda per risolvere e concludere ciò che ha lasciato in sospeso è sincera, e lo è anche il suo rapporto con la giovanissima Bernardetta, creatura selvatica, imprevedibile, torpida e vitale.

Come tutti in questa storia, anche la protagonista “oscilla”: nel suo caso, tra ambizioni accademiche e professionali e repulsione per un mondo – quello universitario – che sembra sfuggirle; tra sentimentalismo e autocontrollo, tra abbandono al sogno e mediazione culturale, tra osservazione e coinvolgimento. Non sappiamo come si chiama: avrà un’età attorno ai venticinque: non conosciamo tutti i dettagli del suo volto, forse solo uno, la piccola ruga che le viene tra gli occhi quando è colta dal disappunto. A pensarci bene, di nessun personaggio conosciamo i tratti del volto: questa indeterminatezza, questa nebbia che copre i volti, è essenziale, e non ha a che fare solo con le ombre di Crottarda, la ritroviamo anche a Autelor: rimarca il carattere sospeso, la difficoltà a cogliere i nessi tra gli elementi singoli e a collocarli in un insieme, la riconoscibilità e la caratterizzazione di ognuno.
Bernardetta e la protagonista sono complementari: così diverse, hanno però qualcosa in comune, uno spaesamento, un isolamento. La loro vicinanza, dapprima forzata e non voluta, diventa a poco a poco intimità, e anche bisogno reciproco, anche se entrambe preservano un lato segreto all’altra. Il loro rapporto è fatto di pensieri (la giovane studiosa) e gesti di grande fisicità, corporeità (Bernardetta). Anche la protagonista, dopo un po’, troverà consolazione nel contatto fisico, nel calore emanato dall’amica. La loro intimità non sembra colorata di attrazione sessuale. Se questa componente c’è, rimane un’allusione, un sospetto, qualcosa di sognato o rimuginato. Il fatto è che Bernardetta non sa esprimersi che con il corpo, e l’io narrante scopre la forza del contatto fisico e ne è soggiogata.

Ma chi è Bernardetta, insomma? È una creatura liminale, misteriosa, un contatto tra il sotto e il sopra, tra il sogno e la veglia. Lo è senza rendersene conto. Il suo torpore è reale, così il suo muoversi da animale selvatico. Non rappresenta nulla, semplicemente lo è.
La complementarietà tra le due mi si è chiarita via via, durante la stesura. Se Bernardetta è tutta corpo, gesti, azione, la protagonista è (vorrebbe essere) tutta pensiero. Il suo è (vorrebbe essere) un pensiero ordinatore, teso a organizzare in schemi rassicuranti il brulichio della realtà. Nella sua iniziale visione classificatrice e tranquillizzante, ogni suono ha un senso, un’altezza, può essere trascritto, può essere tradotto. Lei ci crede davvero, almeno agli inizi: ma il suo ottimismo si scontra quasi subito con il carattere vischioso, ambiguo della comunità di Crottarda. Diventa vittima di scherzi, di burle, di depistaggi: una strana dieta a base di erbe e funghi di non chiara origine favorisce questo obnubilamento. La pazienza con cui all’inizio affronta le cose (una pazienza che è parte del suo temperamento, ma anche elemento fondamentale della sua metodologia di ricerca) si sfalda, è sostituita dall’insofferenza. Alla fine, il caos sembra avere il sopravvento, la gigantesca burla di cui è ordito il mondo sta per vincere.
La protagonista, pur sicura di sé e dei suoi mezzi, è un’introversa. L’esuberanza animale di Bernardetta la integra, ma non la realizza. Trova modo di specchiarsi nella figura altrettanto introversa di Fausto, uno speleologo che come lei preferisce muoversi da solo, anche lui intento a decifrare, a misurare il mondo (o meglio, il sottosuolo).

C’è un altro punto importante: la dimensione di estraneità della protagonista. Non è una condizione lontana da me. È anzi quella più familiare. In me, che pure sono nato tra le montagne, questa condizione si accentua proprio quando vado in montagna, cioè quando mi confronto da vicino con una realtà che mi circonda sin dalla mia nascita ma a cui sento di non appartenere davvero. Non mi accade la stessa cosa quando mi addentro in pianura, o tra le colline: lì la mia estraneità è così disarmata che posso solo fingere di non esserci, guardarmi attorno e fingere di trovarmi lì per caso, per sbaglio. In montagna ci salgo con qualche supponenza in più, con qualche reminiscenza di scorta, ed è questo che mi frega, in un certo senso. Questa estraneità è una condizione fatta di curiosità e frustrazione, di desiderio e repulsione. Una condizione molto umana, e anche molto fertile, narrativamente, perché il racconto di questi tentativi di avvicinamento e dei seguenti insuccessi e del desiderio di ulteriori avvicinamenti è un po’ la storia dell’uomo, per come la vedo io. La protagonista del romanzo arriva, sembra essere accettata, cerca di adeguarsi, ma invece di capire e diventare parte della comunità ne diventa vittima e ci sprofonda, rischiando di perdere se stessa. Non c’è nulla di violento, di netto, nel rifiuto della comunità dei crottardesi: eppure è un circuire, un attirare e un manipolare che mira ad annullare, o, nel caso di resistenze, a espellere. Anche questa è la storia dell’uomo, temo. Non sei come noi? Vattene. Vuoi essere come noi? Non ci riuscirai mai. Vuoi capirci? Non c’è niente da capire, ti stiamo solo prendendo per i fondelli.

(Claudio Morandini, https://giacomoverri.wordpress.com)

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