Lo conoscete sicuramente, ne sono certo, quel celebre motteggio popolare che dice di come a Maometto tocchi andare alla montagna, se la montagna non va a lui. Ovvero, a volte non bisogna aspettare che le cose accadano ma bisogna fare in modo che possano accadere. E se invece ad accadere – anzi, la dico giusta, a cadere, è proprio la montagna? In altre parole: e se nonostante Maometto ci vada, alla montagna, la montagna decidesse di andare comunque da lui, quasi a voler ricambiare la “cortesia” seppur in modi piuttosto… inquietanti?
Sembra quasi scaturire da questo ragionamento – apparentemente un po’ bislacco, lo ammetto – la storia che Claudio Morandini narra in Le pietre, romanzo il quale fa da seguito al pluricelebrato Neve cane piede che lo ha fatto conoscere a molti come uno dei più originali narratori italiani contemporanei, e a pochi – cioè, per così dire, a quelli che come me hanno un poco più di dimestichezza e conoscenza della letteratura ambientata in montagna e dunque vi ricercano cose più interessanti dell’ordinario, o meno solite  – come uno dei rarissimi scrittori di montagna nostrani nel senso più rilevante della definizione. Come già scrissi nella mia “recensione” al citato precedente romanzo, e come ho rimarcato altre volte in ulteriori testi e contesti, il panorama letterario italiano conosce una produzione notevole di libri ambientati in montagna, sovente di pregevole qualità, ma sostanzialmente non ha (mai, o non ancora) generato una vera e propria “letteratura di montagna”, cioè una produzione peculiare nella quale l’ambiente montano non sia soltanto una scenografia, pur fondamentale per le storie narrate, ma risulti un autentico personaggio di esse, vivo e interattivo, un’entità ben più che metaforica la quale conferisce tutta la propria materialità sovrumana a quelle storie diventandone, per così dire, Genius Loci geografico nonché parimenti espressivo e letterario. Il che deve contemplare che gli autori sappiano far parlare i monti dunque dialogare con essi, cioè ne conoscano la loro lingua che ha parole fatte di terra, legno, roccia, neve, ghiaccio e il cui lessico padroneggiano di sicuro gli animali ma tra gli uomini molti meno. Se la Svizzera – inevitabilmente, qualcuno potrebbe pensare ed è così, in effetti, ma non del tutto e non in automatico – ha saputo sviluppare una “letteratura di montagna” come forse in nessun altra parte del mondo letterario ed editoriale, con numerosi autori veramente interessanti e spesso emblematici (ne parlo nella recensione di Neve cane piede, ribadisco), da noi come altrove c’è più che altro una letteratura dalla montagna, che magari arriva da lassù ma senza portarsi dietro le parole montane suddette se non in minime parti, parlando invece un alfabeto sostanzialmente ordinario, espressivamente comune ad altri generi e non di rado fin troppo ricco di luoghi comuni e convenzionalismi vari. Ciò salvo rare eccezioni, e Claudio Morandini è una di esse: eccezione certificata, peraltro, proprio dalla provata conoscenza che l’autore valdostano ha di quei peculiari autori elvetici.
Ne Le pietre, la montagna non solo “parla” ma rotola, frana, cade, precipita; o forse è proprio questo il linguaggio con il quale si manifesta agli abitanti di Sostigno, un villaggio come tanti in una vallata alpina come tante, montanari la cui attività fondamentale nel corso dell’anno è transumare dal paese ai pascoli in altura della borgata di Testagno al seguito dei propri animali – o forse il contrario, sono gli animali che seguono gli umani, non è da escludere. Un andare e venire costante e periodico che scandisce il tempo come un metronomo lentissimo, le cui pause tra il “tic” e il “tac” sono lo spazio nel quale gli abitanti del villaggio producono la propria (inevitabilmente) “banale” quotidianità animata solo da tante piccole bazzeccole paesane, così tipiche di qualsiasi borgo simile e non solo di quelli. Finché, come detto, è la montagna che, come si fosse stancata di quella routine così sterile di novità prodotta dalla piccola comunità di Sostigno, si anima. Lo fa coi suoi elementi fondamentali e più concreti, o più identificanti, le pietre, che si animano, si muovono da sole, compaiono per il paese in modi che sembrerebbero guidati da qualche arcano intelletto, e soprattutto scelgono come dimora nel borgo la villa dei coniugi Saponara, coppia di pensionati ritiratasi suoi monti per vivere la “classica” tranquilla vecchiaia. E invece no, non è per nulla tranquilla la loro esistenza lassù, perché le pietre devastano loro sia la casa che la vita, li fanno additare dai compaesani prima come dei truffatori e poi come dei menagramo, li rendono oggetto dello scherno degli scettici e della morbosa attenzione dei cacciatori di “misteri” o di sedicenti maghi, sensitivi, medium, almeno fino a quando la montagna non colpisce anche gli altri abitanti di Sostigno con una inattesa e grande frana che devasta l’alpeggio di Testagno e, come ai Saponara, sconvolge la vita a tutta la comunità, rendendola ostaggio di quei monti che per secoli le hanno dato cibo e risorse e ora sembra che stiano chiedendo il conto per una così lunga e silente magnanimità.
Con questo Le pietre Morandini conferma la sua originalità narrativa, giocando intorno al fascino delle terre alpine, ricche tanto di bellezza quanto di leggende, e traendo di nuovo da questo gioco (letterario), come fatto in Neve cane piede, un elemento surreale e comunque sfuggente dall’altrimenti materiale razionalità (all’apparenza, almeno, che poi non è affatto così in verità) della vita ordinaria in montagna. Elemento che, lo stesso Morandini lo denota, alla fine del libro, prende spunto da alcuni episodi, che oggi definiremmo di poltergeist, coinvolgenti pietre volanti registrati dalle cronache valdostane ad inizio Novecento. A Sostigno, in ogni caso, le pietre misteriose sembra vogliano rimarcare l’ancestrale natura arcana di un ambiente come quello montano, che gli uomini non hanno mai del tutto dominato e probabilmente non sapranno mai del tutto dominare, troppo potente e troppo sfuggente dalle loro possibilità materiali e immateriali. In fondo, le pietre non sono che un’ennesima seppur diversa (dalle altre) ovvero originale manifestazione di quel mondo parallelo, leggendario, selvaggio e in parte oscuro se non demoniaco (ma anche in tal caso assolutamente emblematico e identificante) che da sempre la montagna pone di fronte all’uomo che cerca di adattarla ai propri bisogni o più semplicemente ad abitarla nel modo meno duro possibile. È il mondo, parallelo ma non troppo, nel quale abitano l’Homo Salvadego, il Wildermann, il Basilisco, il Tatzelwurm e con loro gnomi e folletti e creature misteriose d’ogni sorta nelle quali si compendiano i timori, le ansie, le inquietudini e le mire impossibili, o anche solo la curiosità affascinante tanto quanto conturbante, degli esseri umani verso il selvatico, elemento antitetico a quello urbano ma in fondo necessario alla sua giustificazione e alla generazione del relativo valore. Ovvero: in montagna l’uomo è elemento urbano proprio grazie alla componente selvatica alla quale si contrappone, in modo più o meno forte, virtuoso o illecito; in fondo a Sostigno è un po’ come se la comunità ritrovasse una rinnovata vitalità, con tutte le difficoltà delle bizzarre circostanze, proprio grazie alle pietre misteriose, con le quali deve inevitabilmente cercare e trovare una relazione, un rapporto, un dialogo che aiuti almeno a non farsi seppellire l’animo dall’inquietudine generata dal misterioso fenomeno. Sempre che invece, alla fine di tutto, il vero mistero non sia l’animo umano con le sue manifestazioni vitali e materiali, a volte così irrazionali e altrettanto bizzarre, altre volte dure proprio come pietre…
Insomma, ribadisco: Claudio Morandini è uno dei rari veri scrittori di montagna italiani, capace di dialogare (appunto) con i monti e al contempo di costruire uno stile narrativo personale capace di farsi apprezzare anche da chi sui monti non c’è mai salito. Non mi resta che proseguire il cammino lungo il sentiero che egli mi indica: c’è già un’altra tappa da affrontare e chissà poi verso quale meta ci si dirigerà. Solo, sto attento a che nessuna pietra si metta a rotolare senza alcun preavviso da qualche pendio sopra la mia testa!

(Luca Rota, Il blog di Luca Rota)

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