Di questi tempi non capita spesso che un romanzo abbia sufficiente successo da essere ristampato da un editore diverso da quello che lo pubblicò la prima volta. Già questo fa della seconda edizione di Neve, cane, piede un piccolo avvenimento. Ma tra l’originaria edizione del 2015 e la presente di Bompiani ci sono anche tre nuovi capitoli di differenza, più una generale revisione del testo da parte dell’autore, più una postfazione sulla genesi del romanzo, che nel frattempo è stato tradotto in inglese, francese e spagnolo. Avendo letto anche la prima versione, posso dire che la storia tra il grottesco e lo psicopatico di Adelmo Farandola in questa edizione 2.0 ha grandemente guadagnato. Il solitario scorbutico montanaro (probabilmente sospetto di Alzheimer) che vive come un eremita in sprezzo dell’umanità ne esce – incredibile ma vero – ancor più folle eppure ancor più solido. Veniamo a sapere più cose sulla sua giovinezza, e capiamo un po’ di più la sua stramberia; però la storia si spinge sempre più ai confini con la realtà, tra dialoghi col cane e conversazioni con un cadavere. Tutto questo sullo sfondo di una montagna assai diversa da quella di Cognetti: un mondo di valanghe, di frane, di pietre che ti rotolano addosso, di animali morti, di sbroccati, di rovine. Come al solito Morandini oscilla tra commedia (decisamente nera) e romanzo dell’assurdo (c’è anche qualcosa di Beckett in questo Estragone alpino), naviga vicinissimo all’horror (e io prego che prima o poi torni a varcare quel confine), il tutto con un linguaggio misurato e meditato, lineare ma mai superficiale. Ma diciamo soprattutto che l’autore di Neve, cane, piede ha saputo creare un personaggio che non dimentichi: Adelmo Farandola sembra avere una vita che esce dal romanzo; t’aspetti di incontrarlo la prossima volta che farai due passi in montagna. E ti tirerà pigne e pietre, sicuramente, perché non gli piaci neanche tu.

(Umberto Rossi, Blow Up n. 280, settembre 2021)

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