Claudio Morandini: lucidi incubi nel Catalogo dei silenzi e delle attese

Si può conservare, crescendo, “lo sguardo acuto e incorrotto dei fanciulli”, quello che negli adulti, fatti salvi i poeti, si offusca irrimediabilmente?
Traggo le parole dall’ultima pagina di Catalogo dei silenzi e delle attese (Bompiani), di Claudio Morandini, aostano, classe 1960, e le metto in forma di domanda, perché un quesito simile attraversa e in qualche modo unifica i racconti/capitoli di ciò che è definito “un romanzo, forse”, ed è forse un romanzo perché è la storia di “una vita, forse”: quella di Cosimo Peragalli, una versione letteraria e notturna dell’autore, che dall’infanzia arriva alla maturità sancita dal distacco dalla casa natale e dalla paternità di una bambina.

Alcuni dei racconti/capitoli o pezzi di quelli che sono diventati racconti/capitoli sono apparsi in altra forma negli anni in diverse riviste, cartacee o digitali, prestigiose o avventurose. È tipico del lavoro di Morandini “distillare le storie da cumuli di centinaia di pagine, tra le quali, un po’ alla volta, ha visto formarsi legami, rimandi, echi – un’idea di struttura, insomma” (Night Italia).
Nella prima delle quattro sezioni, Capsula del tempo, troviamo il piccolo Cosimo nell’atto di padroneggiare “lo sguardo”. In pagine dense si narra la scoperta dei poteri fantastici di un bambino “giudizioso”, la prima amicizia e la passione tutta terrena per i fossili, l’esercizio continuo per scacciare i “mostri” e l’osservazione dei grandi, vissuti come alieni nei loro incomprensibili comportamenti.
Ci sarà tempo, basta attendere, come promette il titolo del libro, per capirne i riti – per esempio stare muti tra coniugi, uno di fianco all’altro, davanti alla tv, oppure fare la coda in merceria e vantare una confidenza orgogliosa con le malattie, oppure da pensionati discorrere con le piante di uno scosceso e pericolante orto abusivo.
Metto formalmente agli estremi di questa prima sezione la concentrazione di Bestie e prodigi, quasi un piccolo saggio narrativo, segnato da un oscuro e inquietante gioco di morte messo in atto dai ragazzi, e la veloce invenzione escapista nella vacanza al mare de Il varco.
Mi fermo a sottolineare come il bambino Cosimo trovi consonanze inaspettate, saltando di netto tra le generazioni, nella mania degli anziani: è efficace il ritratto della nonna (Dalla nonna), streghesca raccoglitrice di erbe e schifezze, e cacciatrice, torturatrice e consumatrice di poveri resti di lumache, cui viene affidato il nipote rassegnato a entrare in un mondo primitivo di rifiuti e di fetori, oltre che di nuda ed eccentrica, vitale crudeltà.
Accade infatti che gli adulti assennati non condividano l’irriducibilità dell’infanzia/adolescenza, mentre questa trova almeno complicità negli outsider, i vecchi appunto o i solitari, come la zia Ferdinanda del bel racconto Non esistono pianisti grassi, fondato sulla fisicità della carne e sull’indigestione di golosi biscotti.

Il titolo Catalogo dei silenzi e delle attese, come dicevamo, è una dichiarazione di poetica e fa luce su quello che riserva al lettore. Nei capitoli/racconto delle altre sezioni – Il Delta, I Sangui e Ida – appare Cosimo cresciuto che, come insegnante, amante o padre, vede da straniero la sua famiglia d’origine e gli altri possibili vicini di vita.
Mi sembra che il filo che unifica le tre sezioni – meno compatte ma non meno godibili della prima – sia la solitudine dell’osservatore che cerca di non lasciarsi toccare o di evadere dalla contaminazione che lo minaccia, pagando un prezzo di esclusione – vedi l’incontro con i genitori, che hanno adottato un suino nello spiazzante Mi si diceva del maiale. Da adulto, più freddo, meno coinvolto, quasi per difesa Cosimo può entrare meglio nel campo misterioso dell’esistenza ed ecco il lungo incubo de I tetti di ardesia e l’ispezione della casa paterna e delle sue stanze colme di oggetti inutilizzabili ne Le cose. Mentre in Ematomi Cosimo può sforzarsi di riconoscere nei propri studenti il se stesso di tanti anni prima augurante la morte ai professori e poi esorcizzare, nell’abbraccio di due donne poco desiderate, la mutazione di un corpo ingrassato, quasi presago di altre corruzioni. Nell’ultimo racconto, non per caso, Cosimo passa il testimone alla figlia Ida.

(Luca Martini, Allonsanfàn)

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