A casa han comprato un maiale e gli hanno dato il posto che era tuo
Un professore tormentato dall’obesità ricostruisce la sua esistenza, dalle vacanze con la nonna che gli preparava intrugli di erbe e insetti alla morte dei distratti genitori. La vita di Cosimo Peragalli è un elenco nostalgico e poetico (spesso anche straziato) di ricordi personali
La manutenzione del tempo, più che dei sensi. Il rilascio graduale – non necessariamente lineare – di ciò che da esperienza diventa vita, e poi memoria. Non siamo più molto abituati, diciamolo, a delineare identificazioni precise per libri non facilmente catalogabili: dal rosa al noir al romanzo generazionale alle saghe familiari, la letteratura di questi ultimi anni ha trovato facili sponde critiche, soppiantate spesso dai commenti dei blog più che indirizzate dalle parole cercate nel profondo di chi un bagaglio critico se lo porta a spasso da tempo.
A proposito di cataloghi, Claudio Morandini ha fatto tutto da sé, riassumendo fin dal titolo la sua ambizione di osservatore astratto ma attento ai dettagli, con l’apparente – intenzionale – freddezza di ricostruire un’esistenza attraverso piccole memorie spicciole, non proprio un Mi ricordo di Georges Perec ma comunque un elenco – spesso nostalgico, poetico, talvolta straziato – di frammenti personali e familiari che non portano da nessuna parte, se non ad accumulare esperienza e a trovare – forse – un punto d’incontro con se stessi.
Morandini è autore parco e selettivo – rileggete almeno Neve, cane, piede, riproposto di recente da Bompiani – e, come il suo conterraneo valdostano Daniele Gorret non mira a stupire, semmai a centellinare la vita con passo di montagna, trovando reperti memoriali nel silenzio che giace in fondo al passato. A dire il vero, per certe stralunate fantasie inafferrabili, la prosa di Morandini è più prossima a personaggi pericolosamente a piede libero nel panorama letterario, come Cavazzoni, Cornia, Barbolini, il compianto e mai troppo compreso Maurizio Salabelle e, perché no, qualche guizzo del Palazzeschi più burlesco. Il Catalogo dei silenzi e delle attese parte in ogni caso da un’infanzia, procede in una maturità approssimativa da professore assediato dall’obesità e si conclude con la dipartita di genitori a modo loro lontani, estranei, un po’ folli, come il padre che si è rivelato, a sorpresa, un accumulatore compulsivo di oggetti disparati, spesso inutili o assurdi. Diciamo che il libro possiede una sua strategia costruttiva ben mirata, limata e accorpata in forma di romanzo attraverso una serie di quadretti – flash, lampi di memoria – alcuni dei quali già editi su riviste varie. Di romanzo è comunque lecito parlare, poiché il percorso di Cosimo Peragalli si evolve partendo dalle estati in campagna con una nonna stramba in grado di catturare ogni tipo di animale – chiocciole, insetti, piccioni – e farli cuocere insieme a erbe di campo destinate a far torcere le budella al piccolo Cosimo. Un bambino attento e serio, il piccolo protagonista, che attraversa i suoi primi anni osservando gli adulti, in attesa, studiandone i lati grotteschi e le fobie – reali o immaginarie – con cui si riempiono la vita (le donne caciarose e sfatte, odorose di frittumi e lacca, in coda nella merceria). E poi quella inconscia – ma testarda – consapevolezza di essere in grado di far accadere le cose con un semplice pensiero, salvo poi rischiare di lasciar annegare un bambino in piscina convinto di averlo tenuto a galla con la forza della mente. Un’infanzia normalmente «prodigiosa», quella di tutti noi cresciuti senza smartphone e senza internet.
Ma anche la crescita non è la soluzione dei problemi, per l’adiposo e un po’ unto professor Peragalli. Lontano dalle sue montagne, sceso in pianura sul delta, Cosimo entra in contatto con un mondo di personaggi a tratti quasi felliniani, come l’eremita del fiume che insiste per farsi amputare i genitali per non imbattersi più in sogni rivolti al sesso, o le colleghe di scuola che pur denigrandolo se lo portano a letto, mentre lontano – lassù tra i bricchi – i genitori hanno comprato un maiale e se lo tengono in casa per sopperire all’assenza del figlio. Tutto sembra aleggiare in una dimensione onirica, come quelle oscure nuvole di fumo che una congrega di fissati osserva uscire dai comignoli delle case trascorrendo le notti sui tetti, come se tante anime erranti uscissero nella notte dalle case per perdersi nell’infinito… Mistero dopo mistero, il tempo è diventato vita, i silenzi sono trascorsi così come le attese, e il ritorno a casa per veder spegnersi la storia di famiglia è forse solo il preludio a un nuovo percorso di bizzarre esperienze, accanto alla piccola figlia Ida, che contempla con entusiasmo, accanto alla nonna morente, le bave dei ragni sulle finestre. «Bisogna stare attenti a ciò che si dice ai piccoli e ai vecchi, soprattutto quando si fingono distratti», osserva infine Cosimo, sul crinale forse finalmente giusto di una vita che è stata – in fondo, come direbbe il grande Vasco – «tutto un equilibrio sopra la follia».
(Sergio Pent, Tuttolibri – La Stampa, 23 aprile 2022)