Silenzi e attese da romanzo

Lo scrittore aostano Claudio Morandini pubblica oggi il suo terzo romanzo per Bompiani. Dopo Gli oscillanti, pubblicato nel 2019, è la volta del Catalogo dei silenzi e delle attese, il suo decimo romanzo, che verrà presentato in prima nazionale stasera, alle 20.30, al Teatro Splendor di Aosta nell’ambito della Saison Culturelle Littérature (…).
Catalogo dei silenzi e delle attese è il racconto della vita di Cosimo Peragalli, delle cui pieghe misteriose Morandini «fa finta – come scriveva Jean Cocteau – di essere l’organizzatore». «Avevo da parte molti racconti – spiega lo scrittore – materiale eterogeneo che ho messo in ordine cronologico, individuando un personaggio che è, poi, diventato l’io narrante. I racconti sono così diventati capitoli di un romanzo che ha una sua continuità e compiutezza. Non è un romanzo di trama, ma di atmosfere, di caratteri, di silenzi, di attese. Pian piano rivela la sua natura, mostrando fili nascosti tra elementi molto diversi. Un po’ per scaramanzia e un po’ per prudenza nell’esergo sotto il titolo l’ho voluto chiamare “un romanzo, forse”».
Morandini racconta il personaggio Cosimo Peragalli: «È un uomo che nella vita si lascia galleggiare, senza la forza di prendere una decisione che sembri quella giusta. Un insegnante che conduce una vita apparentemente banale che, a tratti, trapassa in situazioni surreali in cui prevale la fantasticheria, la contemplazione, il rimuginio e, se vuoi, il sogno». E se cosa unisca il Cosimo che voleva essere il bambino più buono del mondo con la figlia che compare nell’ultimo capitolo, Morandini dice: «Ida vede cose, animali e persone che Cosimo non vede. O, meglio, non vede più. Perché più attenta. O perché ha lo sguardo acuto e incorrotto dei fanciulli. Il loro è una specie di passaggio di consegne».
Nei romanzi di Morandini c’è poca Valle d’Aosta, ma l’autore spiega che «il bravo scrittore deve alzare lo sguardo e immaginare cose c’è oltre le montagne. Se uno vuol fare buona letteratura non deve stare bene, ma deve coltivare la propria insofferenza e irrequietezza che sono un motore potente per l’invenzione. Se uno scrittore e i suoi personaggi fossero perfettamente a loro agio in una situazione non ci sarebbe storia né la spinta a scrivere, ma, piuttosto, bozzettismo e Arcadia. Secondo me fare buona letteratura significa anche rischiare l’inattualità, perché non puoi metterti a scrivere una buona poesia sulla guerra il giorno stesso in cui la guerra scoppia».
(…)

(Gaetano Lo Presti, La Stampa, 30 marzo 2022)

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