Chi, dalle fronde dell’elce, guardava tutto, e tutto era come niente, era Cosimo, Il barone rampante. Dal momento che per Claudio Morandini «Le parole mettono ordine nelle cose, sciolgono i garbugli, riducono i misteri, illuminano le zone d’ombra», non possiamo non pensare che sia solo casuale la scelta di questo nome, Cosimo, per il protagonista del suo ultimo romanzo, Catalogo dei silenzi e delle attese, Bompiani 2022. È un po’ come dichiarare a priori che nel libro non troveremo che una realtà limitata, relativa: «Quella cosa si sta gonfiando fino ad assumere la sagoma incerta di una medusa. Da questa distanza non saprei dire se è composta di fumo o d’acqua, o se non è piuttosto una sorta di creatura di abissi marini. Quando smetto di fissare la cosa, scopro che da altri comignoli tutt’intorno a noi sono scaturite numerose altre forme. Alcune pulsano di certe loro luminosità interne, altre trascolorano, altre ancora vibrano o essudano mucillagini. Tutte appaiono sfocate, inconsistenti, lontane – anche le più vicine» (p. 158). Non è, dunque, questione di prospettiva, essere o no sull’elce, vagare o meno sui tetti di notte, perché probabilmente una verità non esiste, non è che una sagoma incerta, anzi ha più e più forme, e nulla può essere scandagliato se non la propria coscienza. È proprio questo che fa Cosimo attraverso i quattro capitoli che ne tracciano l’esistenza, ma mai con una lucida analisi introspettiva; sempre, invece, in maniere sfocate, inconsistenti, lontane. Non che Cosimo sia un personaggio amorfo o passivo, ma il fatto è che la sua volontà emerge più netta nei sogni che nella vita reale: nel sogno può perentoriamente negare al vecchio di accondiscendere al suo desiderio di castrazione, nella quotidianità è più facile mangiare i biscotti della zia che “troppo ingrassano” piuttosto che rinunciarvi.
Non c’è aggettivo adeguato a qualificare il rapporto di Cosimo con i genitori, certo non anaffettivo perché di affetto ce n’è. Si tratta di un legame che si svolge attraverso tutto il romanzo e che comporta altre trattazioni. Il tema religioso, ad esempio, denigrato nella sua sfera di bieca superficiale superstizione; o la trasformazione della figura materna; o il trovarsi “fratello” di un maiale… C’è un’altra corrispondenza con Il barone rampante di Calvino: la presenza e la relativa fantastica descrizione di lumache che lì vengono liberate dal fondo del barile e in Catalogo dei silenzi e delle attese vengono invece dal piccolo Cosimo, ospite di una nonna quasi strega, ingrassate oltre misura, fino a farle scoppiare. Ma è da Le larve, Pendragon 2008, che gli insetti abitano le pagine di Morandini, trascinando il lettore non in atmosfere di ribrezzo ma quasi incantate. In questo romanzo accade con i ragni nella villa abbandonata dopo la morte del padre, ma soprattutto nel gioco con Ida, la bimba di Cosimo, un gioco straordinario e leggero fatto con le loro bave. E allora, a lettura ultimata, comprendiamo che quella parola di cui si diceva è la religione di Morandini. Dunque una certezza c’è, almeno una: è quella della forza della parola alimentata dall’immaginazione, una forza che si esplica se e quando la parola ha la capacità di comunicare lo «sguardo acuto e incorrotto dei fanciulli» (p. 221).
(Norma Stramucci, Diacritica, fasc. 44, 25 maggio 2022, vol. II)