Vita in istantanee ed incubi: Il Catalogo di Morandini

Il Catalogo dei silenzi e delle attese è un‘opera difficilmente ascrivibile ad un contesto e ad un genere letterario in particolare. L’autore l’ha creata rimaneggiando scritti già pubblicati su riviste e supplementi, cucendoli insieme a racconti inediti. Si è tentati di leggerla come un romanzo ma, come si vede nel frontespizio, nemmeno Morandini suggerisce di abbandonarsi del tutto a questa comoda prospettiva, definendo il Catalogo «Un romanzo, forse». Dal punto di vista della narrazione si può trovare come principale filo conduttore la prima persona dell’io narrante: Cosimo Peragalli.
Il volume è segmentato in quattro sezioni, che si riferiscono a quattro fasi diverse della vita del protagonista, forse parziale alter ego dell’autore. Nella prima parte, chiamata Capsula del tempo, è un bambino che vive vicino alle montagne e che d’estate si trova spesso a casa della nonna, ai suoi occhi una specie di strega che cucina erbe e piccoli animali che vivono nei prati intorno a casa sua, soprattutto lumache e insetti. In generale lo sguardo di questa prima sezione si concentra dapprima sulle osservazioni infantili che Cosimo fa sul mondo e su di sé, sul fatto che desideri essere buono ma che risulta inerte, non comportandosi con gli altri in modo direttamente negativo, ma nemmeno positivo. In secondo luogo viene analizzata la percezione che il bambino ha degli adulti. I genitori, spiati davanti alla televisione, sembrano degli estranei, sua zia, che lo esorta a suonare il pianoforte e che gli dimostra il suo affetto in primis con i dolciumi, passa la maggior parte dei suoi pomeriggi chiusa in camera sua, intenta in faccende a lui precluse, il padre silenzioso vive con gioia maggiore i momenti che passa nel suo orticello che quelli in famiglia.
La seconda sezione, Il delta, mostra un Cosimo da giovane adulto, un insegnante che fugge dalla montagna per andare a vivere nel luogo in assoluto più piatto che possa immaginare, il delta di un grande fiume. La prima piena, che, sotto forma di detriti, porterà la montagna da lui, è occasione di attesa e meraviglia, stati d’animo caratteristici e cardine di tutta la sezione intermedia. A stupire e incuriosire Cosimo sarà la levitazione di un suo alunno che lo porterà a volare fuori dalla finestra durante un’interrogazione, ma anche delle presenze traslucide e appiccicose prodotte dal sonno delle persone che sgusciano fuori dai comignoli delle case e invadono le strade, trasformandosi in nebbia. L’esperienza di questi fenomeni paranormali è accettata e normalizzata dalle persone con cui Cosimo la condivide, accrescendo il senso di alterità del protagonista che, in questo modo, risulta sempre liminare, ad un passo dall’essere inglobato da una comunità ma mai abbastanza vicino da farne veramente parte.
Sullo sfondo rimane, e rimarrà in tutte le sezioni, il rapporto difficile con i genitori, che hanno preso male il suo trasferimento e che, per questo, hanno deciso di adottare un maiale e di trattarlo come un figlio, poi la quotidianità dell’insegnamento, la relazione con due sue colleghe e il conseguente rapporto difficile con la sua fisicità ingombrante. L’impaccio dato dal suo corpo obeso, motivo di disagio per sé e per gli altri fin da quando è bambino, si ritrova anche in un altro dei capitoli monotematici. Qui non è Cosimo a soffrirne, ma un eremita che conosce su un’isola deserta. L’uomo ha un’ossessione per il sesso, l’unica pulsione che non è riuscito a mettere a tacere in anni di solitudine. Per questo auspicherebbe all’evirazione, mettendo Cosimo nella difficile posizione di dover compiere l’operazione. L’eremita sembra riflettere parte delle attenzioni che Cosimo bambino aveva per il suo corpo in divenire, un fisico mutevole che non si sa bene come gestire.

La terza sezione, I sangui, che comprende soltanto due capitoli, si articola ancora una volta sul rapporto con i genitori e con la sorella. Il padre è un anziano malato terminale, che decide di poter dire qualsiasi cosa che gli passi per la testa a chiunque, meglio se offensiva, la madre è disperata perché il marito non vuole ricevere l’estrema unzione, né un funerale religioso, la sorella, dopo una vita burrascosa, si è ritirata in una delle stanze della grande casa di famiglia e, da reclusa, prega senza sosta. Quando il padre morirà, Cosimo, non più giovane, e le due donne si faranno carico di ripulire una seconda casa che il genitore aveva comprato e usato da solo, accumulandovi scatoloni e scatoloni colmi di ogni genere di oggetto, dalle più banali lettere e fotografie a animali imbalsamati da lui stesso, trapani, arnie, bambole, astucci portaviatico, reliquiari.
L’ultima sezione, che contiene un solo capitolo, ha il nome e racconta della figlia di Cosimo, Ida. La bambina è convinta di riuscire a comunicare con la nonna paterna, sebbene la donna sia ormai incapace di parlare o di compiere le azioni più semplici. È anche convinta che la preoccupazione della nonna sia legata alle sorti del figlio una volta che lei sarà morta e, per questo, cerca di convincerla che sarà proprio lei, Ida, a occuparsi del padre. Ida, in un certo senso, pone fine alla difficoltà dialettica che da sempre era instaurata tra Cosimo e i suoi genitori, ormai non più possibile anche per via della afasia della madre.
Il racconto procede segmentato per aneddoti, sorta di bildungsroman in cui non è mai chiaro dove stia il confine tra reale e invenzione, tra vita vera e sogni metaforici, o, più che altro, incubi, di un’alterità di Cosimo rispetto al mondo e alle altre persone. Il protagonista, prima ragazzo e poi uomo indolente, si nasconde nel suo essere “normale” ed essenzialmente buono anche nella sua età adulta. Se da bambino si trova estraneo rispetto agli adulti, che sono esseri incomprensibili e alieni, da grande si trova comunque a vivere una vita di osservazione degli altri e dei fatti da fuori, senza comprendere appieno la psicosi dell’eremita sessuofobo, il meccanismo fisico che fa gonfiare il suo studente durante un’interrogazione, ma nemmeno le donne di cui è amante o il silenzioso dialogo tra sua figlia e sua madre:

Intuivo insomma che tra voi due si era stabilita, da quando tua nonna era in quello stato, un’intesa strettissima, che non sapevo se invidiare o temere. Entrambe vedevate “cose”. Me lo hai detto tu, un giorno, mentre tornavamo a casa in auto – avevi sei, sette anni. Vedevate le stesse cose, che a noi adulti non era concesso non solo di scorgere, ma nemmeno di immaginare, ormai.

Morandini costruisce un frammentato racconto dell’assurdo, in cui, procedendo con la lettura, non si comprende dove, di volta in volta, si andrà a finire. Ne sono esempi gli invertebrati cacciati dalla nonna. Di notte sembrano buttarsi in una corsa contro il tempo per riuscire a fuggire dall’anziana signora, che vuole cucinarli, o da Cosimo, che li nutre di farina fino a farli scoppiare, ma, sebbene pestati per errore dal bambino durante la notte, il mattino dopo non hanno lasciato alcuna traccia di sé. Così come le incursioni notturne sui tetti di Cosimo ormai adulto, in compagnia di un gruppo di persone che sembra diano la caccia ad esseri senza forma generati dalle teste delle persone quando dormono.
(…)

(Eleonora Mander, Il rifugio dell’ircocervo)

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