«La mia è una montagna sognata: più minacciosa che rassicurante»
a cura di Tiziano Fratus

Claudio Morandini (Aosta, 1960) vive nella sua regione natale, è da poco in pensione dopo una vita spesa nell’insegnamento. Tra le sue fortunate opere letterarie si annoverano i romanzi Neve, cane, piede (tradotto in diverse lingue e pubblicato in molti paesi), Le pietreLe maschere di PocacosaGli oscillantiCatalogo dei silenzi e delle attese, che hanno ricevuto il plauso della stampa, il favore dei lettori e premi quali il Procida Elsa Morante, il Prix Lire en Pochein Francia e negli ultimi mesi il Premio Le Ghiande di Cinemambiente a Torino.

Poche settimane fa ha ricevuto il premio Le ghiande, assegnato ogni anno ad un autore che si è impegnato per una scrittura ambientale e/o naturalistica. La motivazione dice: «L’ambiente non è uno sfondo, ma un personaggio a tutto tondo. È presenza perturbante con una volontà tutta sua che si mescola e intralcia e scompagina le intenzioni degli umani.» Che cosa definisce il destino dunque di un personaggio nei suoi romanzi, nella sua visione del mondo e delle cose?

“I miei personaggi si definiscono a poco a poco proprio in rapporto con l’ambiente che li ospita. Arrivano in un certo posto animati dalle migliori intenzioni, o vi nascono pronti a cambiare tutto in base alle loro esigenze, ma qualcosa va storto, il loro ottimismo iniziale ben presto cede, e si trovano invischiati in un mondo terribilmente vasto e intricato. A questo punto, ciò a cui possono puntare, oltre alla fuga, è una specie di convivenza precaria con un ambiente che potrebbe benissimo esistere senza di loro e che impone i suoi tempi, la sua forza. A volte, questo significa per loro esserne assorbiti, farsi vegetale o sprofondare in una dimensione minerale. Ecco, la montagna, con le sue ombre, le sue prospettive ingannevoli, mi sembra corrispondere più di altri ambienti a questa complessa relazione – per questo continuo a esplorarla di romanzo in romanzo, non per ossequiare una moda editoriale. La presenza potente, ingombrante della natura nei miei libri non è cercata, tantomeno calcolata: nasce dall’attenzione, dall’esercizio dei sensi e dall’immaginazione. La mia è una natura fantasticata, sognata, rielaborata dalla memoria: sarà poco reale, ma è molto vera, almeno per me.”

Lei ha scritto per anni prima di ottenere un meritato successo grazie a Neve, cane, piede, uscito nel 2015 e in seguito ripubblicato da Bompiani. Come è nata la storia di questo romanzo? 

“Quando ho scritto Neve, cane, piede l’interesse dell’editoria per la montagna era molto limitato. Io volevo rifarmi ai romanzi dello svizzero Ramuz, al loro nucleo più misterioso e visionario, proprio per il loro essere fuori moda. Una scelta avventata, tant’è che quel romanzo non ha trovato casa per anni, anche a causa della sua brevità. Poi, sì, ha trovato un editore, grazie all’impegno delle comunità di lettori ha conquistato le classifiche dei più venduti, sono venuti i premi, le traduzioni, un altro editore e un’altra edizione più accurata e completa. Probabilmente il connubio tra cliché rivisitati (il vecchio montanaro, la solitudine, il cane parlante…) e alcuni elementi di novità anche spiazzanti e inquietanti ha funzionato. Anche la cura della scrittura ha avuto la sua parte, e forse perfino il contrasto con altra narrativa di montagna tornata in auge nel frattempo. La ricetta era semplicissima e si condensa nel titolo: pochi personaggi, pochi elementi, pochi colori – anzi, un dominante bianco e nero – e due, tre snodi in una storia lineare che però rimane fortemente ambigua.”

L’editoria di maggiore diffusione del nostro paese talora sembra in grande difficoltà: forse non è un caso che il premio Strega di quest’anno sia stato assegnato ad un’opera pubblicata fuori dalla cerchia dei soliti editori che se lo contendono, a cui più o meno tutti gli scrittori puntano. Il romanzo dell’anno – ammesso che lo si possa dichiarare – è stato Ferrovie del Messico, pubblicato da Laurana. Secondo lei che cosa sta accadendo all’editoria del nostro paese? 

“Non sono un esperto in materia, in fondo scrivo soltanto romanzi, di quelli che non creano assembramenti alla loro uscita. Però mi pare che contrapporre grandi editori e indipendenti come se fossero due mondi inconciliabili sia poco realistico. I legami tra gli uni e gli altri sono forti, anche a livello umano e professionale; gli autori vanno dove sono non solo pubblicati, ma valorizzati e rispettati. I grandi editori vogliono mantenere la loro posizione, gli indipendenti sono in cerca di nuove strategie per guadagnare visibilità – e in questo sono più fantasiosi e irrequieti dei primi. I più sembrano navigare a vista, perché le variabili sono troppe e niente è prevedibile, nemmeno gli amori e i disamori del pubblico. L’importante, per me, è che rimangano sempre spazi liberi per la narrativa “letteraria”, e che questi spazi non siano simili a ghetti. Ma forse, invece di rispondere, ho divagato.”

Il suo nuovo romanzo è in uscita a ottobre per Nottetempo: come si intitola e di che cosa parlerà?

“Si intitola La conca buia ed è ambientato ancora una volta tra le mie montagne immaginarie, sempre un po’ pericolanti, oscure e minacciose. Rispetto ai precedenti, giocherà meno sugli elementi fantastici e più sulla commedia grottesca, attraverso le disavventure di un sindaco costretto a portarsi dietro in campagna elettorale l’odiato, tirannico padre e a presentarlo come un eroe della vita tradizionale alpina. Vi emergerà più che in passato un aspetto che tanta narrativa “di montagna” tende a trascurare, presa com’è dai quadretti bucolici: lo sfruttamento insensato a cui l’ambiente è sottoposto, la degenerazione del paesaggio in luna park, l’indifferenza per i colossali cambiamenti – climatici, geologici – a cui andiamo incontro e, in tutto questo, le responsabilità e la malafede dell’uomo. Sono felice che il romanzo esca per Nottetempo, una casa che coltiva un originale interesse per le tematiche ambientali.”

(Tiziano Fratus, “Natura d’autore”, su La Verità, 6 agosto 2023)

  • Share on Tumblr