Ritorno alla montagna

Sono anni che seguo Claudio Morandini e ogni volta che è annunciata l’uscita di un suo libro la mia curiosità cresce. Lo scrittore aostano è senza dubbio uno degli esempi più interessanti e originali dell’asfittica letteratura nostrana, uno dei pochi in grado di creare aspettative alte. Le ragioni sono molteplici: la sua non è una narrativa “urlata”, il suo stile è essenziale e privo di autoreferenzialità, le sue storie non sono mai mirabolanti ma scava nell’interiorità dei personaggi e nei vizi della società con l’agilità che è propria di chi usa le sue qualità quasi con parsimonia, senza eccedere in puri esercizi autoincensanti. Morandini scrive con quella leggerezza che è dote degli autori che usano gli strumenti in loro possesso in maniera ineccepibile, che tengono in mano il bandolo della storia e sanno dove vogliono andare a parare, che usano le parole nella maniera più adeguata. Non una in più, il superfluo nella sua narrativa è bandito.
La montagna, anche in questo La conca buia, è il sottofondo della storia. Franco Gavaglià è il sindaco di piccoli paesi montani, raggruppati in un unico comune, che si avviano a nuove elezioni. La politica lo ha allontanato dal suo ambiente nativo e gli impegni più o meno mondani, le riunioni politiche, i pranzi di lavoro, le visite di rappresentanza ad associazioni varie hanno cambiato il suo aspetto: oltre ad aver acquistato peso per la vita più sedentaria, ha cambiato, per forza di cose, anche il suo modo di vestire. Il problema è che non sembra più un uomo di montagna e questo lo penalizzerebbe nella tornata elettorale. Occorre pensare a qualcosa che corregga questa immagine che non piace agli elettori, che sono veri montanari. L’unica idea che viene allo staff elettorale è di sfruttare la figura del padre di Gavaglià, uomo rude e violento, solitario e autoritario, che ha sempre usato le maniere forti con il figlio e la moglie nella baita sperduta dove allevava i suoi animali e badava ai suoi campi: per lui sembrava non esserci niente altro. Il problema, però, è come costringere l’uomo, ormai vecchio ma ancora combattivo, ad accompagnare il figlio nei comizi e nelle visite alle comunità senza combinare guai e senza ribellarsi a un ruolo che mai accetterebbe.
La soluzione è imbottirlo di tranquillanti, metterlo in una sedia a rotelle e portarselo dietro in uno stato di semi-incoscienza. Il sindaco ricorda le angherie subite dal padre nel corso degli anni e il fatto che non abbia esternato alcun sentimento di dispiacere per la scomparsa della madre glielo fa odiare con tutto sé stesso. Aveva un posto segreto da ragazzino, una conca in mezzo alle asperità delle montagne, in cui si rifugiava per sfuggire alle punizioni frequenti del vecchio che, dopo averla scoperta, l’aveva danneggiata per pura cattiveria. Lo vorrebbe addirittura morto, ma la ragion di stato lo porta a presentarlo come un padre modello, un uomo che ha speso la vita per la famiglia e la montagna. Leda, la figlia di Gavaglià, è una giovane ragazza che viaggia molto, ha una schiera di animali in casa, fidanzati passeggeri e non si sa bene che lavoro faccia. All’inizio non è d’accordo sull’uso che il padre vuole fare del nonno ma Gavaglià la rabbonisce garantendole che il nonno, di cui lei non conosce gli eccessi e che vede come un uomo sulla via del tramonto, non correrà alcun rischio. E così comincia una campagna elettorale imprevedibile e spregiudicata con due contendenti che non si risparmiano colpi bassi: ci troveremo di fronte a episodi illogici e grotteschi di cui Morandini è un vero maestro e il finale non potrà essere che la giusta conclusione di un’avventura a tratti macabra e surreale.
Con sarcasmo e amarezza, mascherata da ironia e un pizzico di malinconia, Morandini ci fa riflettere su una società dove la politica è diventata un teatrino, sul rapporto fra genitori e figli sempre snaturato da interessi personali, sulla violenza domestica e sulla spregiudicatezza che usiamo per raggiungere i nostri obbiettivi. Uno spaccato di una società allo sbando che corre veloce verso il punto di non ritorno.

(Roberto Sturm, Pulp Magazine)

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