Questione di spazio

«Li vedo allontanarsi prudenti: so che sono sempre esitanti con i loro figli, che osserveranno come creature speciali e fragili, da preservare nella loro complessità, da non toccare mai».

Prima ancora di aprire il bel romanzo di Claudio Morandini, soltanto fermandosi al titolo, si prova una certa angoscia, non profonda, minima ma che c’è. La conca buia (Nottetempo, 2023) è un titolo che ci ricorda quello che dovrebbero fare i titoli, ovvero dare un indizio minuscolo di ciò che si andrà a leggere, avere un bel suono e legare (oltreché attirare) la lettrice o il lettore alle pagine prima ancora di sfogliarle. La conca buia è qualcosa che attira, non respinge, mette un certo timore ma pure una grande voglia di andare a scoprire dove si trovi, come è fatta, chi ci vive, se in qualche modo l’autore speri nella luce o riesca a farcela entrare. Claudio Morandini è uno scrittore molto attento, raffinato, lo leggiamo da diversi anni; non va mai oltre misura, i suoi personaggi non sono eccessivi, grotteschi. Non sono perfetti, piuttosto cercano di imparare a convivere con i propri limiti caratteriali, con i loro passati, con i lati oscuri che sono quelli che definiscono meglio di altre cose chi si muove al centro di una storia. L’altro tema che ritorna nei libri di Morandini è la montagna ed ecco che la conca buia è paesaggio ed è condizione umana; un posto in cui puoi arrivare, viverci ma dal quale spesso non (sai) puoi andartene. Le comunità montane, specie quelle piccole, umanamente e paesaggisticamente possono essere meravigliose e terribili. C’è la natura ma poi c’è l’uomo, ci sono i silenzi, le grandi amicizie e poi le occhiate fulminanti, altri silenzi inquietanti, le paure, il potere e l’uso che ne si fa, le famiglie, le loro storie che si somigliano in partenza, ma poi differiscono di un niente, e a volte prendono la strada giusta per scendere a valle e a volte finiscono bloccate al fondo di un burrone.

«Quando ero piccolo papà a volte fingeva di dormire: e se mi avvicinavo troppo mi afferrava il collo, per tirarmi a sé. Non mi lamentavo per il dolore, perché sapevo che non sarebbe servito. Lui, in un raro momento di confidenza, aveva detto che si esercitava su di me per non sbagliare con le bestie».

La conca buia parte da un pretesto, quello di una campagna elettorale. Franco Gavaglià – il protagonista del romanzo – è sindaco di un paese di montagna e aspira alla riconferma. Essere rieletti è sempre difficile, nel suo caso pare ancora più complicato. Non somiglia più all’uomo di montagna, a quelli che lo hanno votato, è diventato pigro, sedentario. I suoi modi di fare ora sono quelli di un uomo grosso, il cui fisico asciutto è solo un ricordo. Gavaglià teme di non piacere più, e allora pensa di farsi supportare dal padre, che di certo nella comunità rappresenta una figura mitica e rispettata. Il genitore però è anche lo stesso uomo, il violento che ha sempre trattato malissimo lui e sua madre, sfruttandoli, offendendoli, schiavizzandoli. Franco (ammesso che lo sia mai stato) non è più il puro di un tempo ed è disposto a mediare con sé stesso, con il passato pur di vincere, pur di essere rieletto. È diventato un mediocre e lo sa. La sua salvezza e speranza è la figlia Leda che ha cresciuto con amore, distaccandosi totalmente dai modi educativi di suo padre. Leda sceglie l’affetto e, in un certo modo, diventa il punto che unisce di nuovo il padre e il patriarca, diventando la stratega sentimentale della campagna elettorale. Questo è il sunto della trama principale, poi c’è il resto.

«Il fatto è che fuori da questi luoghi che lo hanno nutrito e rafforzato mio padre non è più nulla, è un ometto sperduto, un vecchio svuotato».

Claudio Morandini sceglie questa storia per raccontare le dinamiche di una comunità montanara, piena di contraddizioni, dove la salvaguardia del paesaggio non è l’unica cosa a cui pensare. Gavaglià è un personaggio molto riuscito, attraverso lui vediamo bene fino a dove può spingersi l’opportunismo, qual è la soglia che una persona sia disposta a superare pur di vincere (qui un’elezione) nel suo campo. Non è un libro sul potere però, è un libro sulle persone, sulle condizioni delle famiglie, su quello che succede nelle case e quanto di quello accaduto al riparo delle mura domestiche condizioni il tempo a venire, e le vicende di chi ai tavoli delle stesse cucine stava seduto. Morandini è profondo e ironico e sa che il paese piccolo di montagna recita in minuscolo il copione che avviene nelle grandi città. Si tratta sempre di spazio e di come lo si occupa, di qualcuno che cerca ossigeno e di qualcun altro che lo sottrae.

(Gianni Montieri, Huffington Post, 8 novembre 2023)

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