Quanto male (umano) tra i monti

Penne all’italiana. Quattro recenti romanzi ambientati in montagna riflettono su valli buie «dove i nostri peccati giacciono, inespiati»

di Gino Ruozzi

Nella letteratura italiana la montagna è sempre stata importante. Dalla prevalente funzione allegorica medievale (la montagna del Purgatorio di Dante, il Mont Ventoux di Petrarca) al sublime romantico di Sette e Ottocento, dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo («io guardo dall’alto le follie e le fatali sciagure della umanità») all’Adelchi e ai Promessi sposi di Manzoni. Nel Novecento spiccano i racconti e i romanzi della Grande Guerra e della Resistenza (da Monelli e Lussu a Fenoglio), quelli alpini di Buzzati e Rigoni Stern, quelli appenninici di Silone, D’Arzo, Malerba, Crovi. I più di impronta realistica, altri di marca metafisica.
Nel 2023 sono usciti alcuni romanzi significativi inseribili in questa tradizione, nei quali la montagna è luogo geografico e storico che genera rilevanti riflessioni sulla vita individuale e sociale. Mi ha colpito in particolare il forte accento sulla presenza del «male», che non è associato alla montagna in sé ma all’opera dell’uomo. (…)

Del cinismo e dell’opportunismo degli uomini parla Morandini nel romanzo La conca buia. Ambientato nell’immaginario comune alpino di Covignasca, il libro mette a confronto tre generazioni ed è per lo più narrato in prima persona dal sindaco del paese pronto a cimentarsi nella prossima campagna elettorale. In quest’ottica vuole coinvolgere il padre come emblema dell’autentica e rude vita di montagna, con la quale egli ha ormai poco a che fare, a cominciare dalla pinguedine che lo contraddistingue. È uno scontro di punti di vista dominato dall’interesse politico e anche dalla reazione alla durezza della presunta «bellezza della vita di una volta», caratterizzata da pasti fatti di «patate, patate e croste di polenta» e da «certi formaggi amari già all’inizio, e via via più puzzolenti come le secrezioni dell’ombelico»; e soprattutto dalla violenza dei rapporti famigliari («adesso che stavo diventando grasso come il più solido dei suoi tori, il mio vecchio si limitava a minacciarmi a parole, e non mi legava più a una trave della stalla, non mi avrebbe più percosso finché non mi fossi messo a muggire anch’io»). Intorno a questo conflitto di diverse età e visioni dell’esistenza, che Morandini racconta con penetrante sarcasmo e coinvolgente mobilità narrativa, svettano le montagne «ancora tutte lì, al loro posto, buie».

(Gino Ruozzi, Il Domenicale del Sole 24 Ore, domenica 4 febbraio 2024)

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