Uomini che odiano le larve, questa è la superficie dello splendido secondo romanzo di Claudio Morandini. Ma è solo la facciata, perché dietro c’è molto di più. La storia è quella di un protagonista, il cui sangue rappresenta la famiglia cui appartiene. Sangue del suo sangue, è l’erede di un nonno tirannico e autoritario, un personaggio d’altri tempi. Ama, odia, è felice, ha paura, impazzisce e rinsavisce, in una cornice rurale che ha il sapere della scoperta.
Gotico nostrano, un tentativo alla Pupi Avati prima maniera di coniugare scrittura e timori ancestrali, miti domestici e quella sana dose di follia paesana che chiunque abbia vissuto, anche solo tangenzialmente, la campagna, può testimoniare essere un fattore chiave in una buona storia. Il giovane protagonista, il suo coming of age, sono la riga di prolungamento tra infanzia ed età adulta. Ma lo scopo qui non è dipingere un’agiografia, bensì destrutturare la tradizione, torcerla oltre misura, rileggerne la genesi. Per comprenderne le conseguenze, drammatiche.
Morandini gioca con i generi, li adatta ai suoi scopi. Parte piano, con il racconto rurale, quello che la tradizione del verismo ha innalzato su un piedistallo. Lo padroneggia a tal punto da portarlo alla deriva, volutamente. Il suo obiettivo è cambiare le carte in tavola, ma senza stupire. La scrittura, addomesticata con savoir faire, è il tratto distintivo attraverso cui circumnavigare le sensazioni più differenti. Dall’horror gotico, il maniero in cui si svolgono i fatti è un vero coprotagonista, alla commedia sull’amore giovanile, al dramma dell’amicizia e del tradimento, al thriller cupo e morboso. Senza soluzione di continuità, senza scossoni, in maniera – ed è questo a sorprendere, per come sa entrare sotto pelle – del tutto naturale.
Le larve, pubblicato da un editore piccolo ma dal fiuto fino, Pendragon di Bologna, è la testimonianza di un talento puro. Claudio Morandini conosce la letteratura, e vi si pone con umiltà ma da protagonista, con un linguaggio aulico ma diretto, con scelte stilistiche sempre eleganti e una forma mai troppo immediata ma nemmeno criptica. Se in tentativi simili è facile scadere nell’involuzione, per Morandini è giusto parlare di evoluzione, verso una prosa efficace che rimescola il passato e lo riporta in auge con pochi semplici tratti distintivi. La storia, ben congegnata, non passa in secondo piano ma è asservita all’idea stessa di romanzo, come insieme di pulsioni, emozioni, e come latore di un messaggio forte, importante, oltre che come mezzo di intrattenimento.
Il fulcro della storia è allora un’autorialità espressa senza arroganza, anzi cercando di cesellare le finiture di una trama che si dipana lentamente, avvolta su personaggi di grande caratura. Un grande romanzo di formazione che nella singolarità del suo protagonista, autoritario timido accentratore, si fa corale grazie all’apertura dello sguardo. Ed è al tempo stesso narrativa, teatro, pittura, o in una sola parola: arte su carta.
(Matteo Di Giulio, http://linsolito.net)

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