Pungente esemplare di narrativa della crudeltà, Le larve è l’autobiografia in prima persona di un eroe della sgradevolezza. Egocentrico e spietato, il narratore protagonista del romanzo di Morandini è una specie di mostro, indifferente ad ogni sentimento che non sia la gioia per la sofferenza dei suoi simili. Riceve tale tratto per via genetica dall’uomo che fino ai quattordici anni considera suo nonno e che si rivela poi il suo vero padre, un avo terribile per forza di carattere e spregiudicatezza morale. Dal nonno/padre l’eroe del romanzo riceve in eredità un’immensa ricchezza e un groviglio di pulsioni animalesche che lo trasformano in una sorta di lupo mannaro nelle notti di luna e ne fanno un feroce partner per gli sventurati che a lui si collegano per amore o amicizia: tant’è vero che uccide, impunito, sia il suo unico amico sia la sua prima amante.
La gioiosa amoralità dell’eroe riposa su una concezione nietzschiana del mondo, che vede nella convivenza fra gli esseri umani un incessante scontro di volontà destinato a concludersi col trionfo dei più forti, mentre i deboli sono lasciati a consolarsi con le panacee zuccherose della pietà e dell’amore. Il nonno del protagonista è a tutti gli effetti un eroe nietzschiano, una belva che una volta arricchitosi misteriosamente uccide i genitori, schiaccia sotto il peso del suo dispotismo il figlio, terrorizza i dipendenti e abusa di cuoche e fantesche. Sulle orme del nonno/padre si muove il narratore in quello che, in ultima analisi, appare come un romanzo di formazione alla ferocia. Unico freno che impedisce al nipote/figlio di raggiungere l’efficiente amoralità dell’avo è una sorta di intellettualismo di fondo che lo spinge a trovare la soluzione più elegante dei problemi piuttosto che la più spiccia. Soprattutto, a differenza del nonno che non ha mai incontrato ostacoli alla sviluppo del suo sconfinato ego, l’eroe di Le larve trova un limite all’espansione della propria personalità in un altro essere umano, il figlio, un bambino assorto e inafferrabile privo della feroce animalità degli antenati e tuttavia in grado di sfuggire per pura destrezza all’invadenza paterna.
Da quanto sopra esposto è chiaro come il contesto principe del romanzo sia la famiglia, un’istituzione che esce dilaniata dalla lotta per la supremazia che impegna ogni energia dei propri membri. Anche se qui l’ovvio riferimento parrebbe Freud, preferirei invece proporre un legame letterario con un autore, Federigo Tozzi, la cui presenza si fa più volte sentire all’interno del romanzo di Morandini. La famiglia che è rappresentata in Le larve è quella stessa che lo scrittore senese ha raccontato in testi come Con gli occhi chiusi, Il podere, Mia madre e Un giovane, solo per citarne alcuni. È una famiglia dove i padri schiacciano i figli per riceverne in cambio un’ostilità muta e testarda che nemmeno la morte riesce ad estinguere e da cui l’amore sparisce lasciando il campo a grovigli di sentimenti oscuri: invidia, gelosia, sospetto, odio. Come in Tozzi così anche in Morandini la famiglia non è altro che il campione privilegiato di un mondo, inteso sia come società degli uomini sia come regno della natura, dominato dalla figura di Caino. Una cieca coazione ad offendere regola le azioni degli umani e degli animali in Le larve, tanto che una linea di demarcazione fra le due realtà appare fin da subito priva di senso. Emblema dell’animalità umana è il protagonista, uomo privo di moralità nei rapporti coi suoi simili e nello stesso tempo visceralmente attratto da bisce, rospi, topi e larve. Di quest’ultime arriva addirittura a nutrirsi, addentrandosi sottoterra alla maniera di una di quelle creature notturne che tanto lo affascinano.
Larve e terra sono presenze ricorrenti nel romanzo di Morandini. Le prime, che per tre anni crescono nel sottosuolo fino a mutarsi in sciami di coleotteri che devastano campi e coltivazioni, forniscono al romanzo la chiave per capire la valenza autodistruttiva della ferocia che ne percorre il narrato. La terra infine, l’humus originario dal quale tutto parte e tutto torna, diventa una sorta di magnete che attira verso le sue profondità quei personaggi che sono più degli altri pervasi da una carica di vitalità animalesca: il protagonista, il nonno e l’amico/nemico Saverio. Prodotto e metafora di tale rapporto con la terra è il palazzo costruito dal nonno dell’eroe, che si duplica in una rete di misteriosi bassifondi e cantine dove dominano i topi, si nascondono i cadaveri ed affiorano i morti.
L’elemento che separa Le larve dal resto della produzione neogotica sono i due tratti che definiscono il linguaggio di Morandini, da una parte la varietà dei suoi registri, che arricchisce l’esperienza del romanzo e ne movimenta la narrazione, e dall’altra la sua assoluta precisione. La parola di Morandini non scade mai nel generico perché, secondo la lezione di Pascoli e, di nuovo, Tozzi, è sempre quell’unica e sola che può, in un determinato contesto, descrivere un oggetto, uno stato d’animo o una situazione. È tale ricchezza lessicale e sintattica che permette a Le larve di utilizzare le risorse del genere senza mai scadere nella maniera e ne fa un testo narrativo prezioso e godibile la cui lettura è consigliabile ai lettori raffinati piuttosto che agli stomaci forti.
(Marco Codebò, http://www.retididedalus.it/Archivi/2010/febbraio/LETTURE/4_morandini.htm)

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