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Con il suo terzo romanzo, Claudio Morandini imprime un’ulteriore accelerazione alla sua vertiginosa scalata stilistica. Se Nora e le ombre e Le larve avevano già ampiamente manifestato la straordinaria padronanza stilistica dello scrittore aostano, con Rapsodia su un solo tema Morandini firma senza timore di smentita quello che può essere ritenuto il suo lavoro migliore, più libero, più spericolato e soprattutto più complesso. La vicenda del libro si struttura intorno al desiderio nutrito da un compositore statunitense di musica classica i incontrare un anziano maestro russo caduto in disgrazia all’epoca dello stalinismo e ormai dimenticato da appassionati e accademia. Intrecciata alla vicenda primaria, si sviluppa quella dell’anziano musicista che rievoca i supplizi degli interrogatori tesi a verificare l’ortodossia comunista delle sue partiture, che a sua volta si apre alla scoperta delle carte di un suo avo che immagina di avere compiuto un viaggio nella musica del ventesimo secolo. Morandini non solo si rivela acutissimo conoscitore di teorie musicali e composizione, inserendo nel corpo del racconto vere e proprie notazioni musicali sotto forma di note che accompagnano sentimenti, emozioni e pulsioni, ma riesce, attraverso questa struttura complessa e lieve al tempo stesso, a mettere in scena una danza degli equivoci del desiderio che ambisce alla compiutezza dell’opera d’arte totale. Come in sorprendente equilibrio tra Calvino e Bulgakov, questo dialogo a più voci fra musicisti dislocati in tempi e spazi diversi diventa il trionfo di una scrittura libera e assolutamente padrona di ogni sfumatura e accento. Una scrittura che proprio attraverso la sua ammirevole perfezione ritrova la sua infantile capacità di commuoversi e incantarsi ancora. Rapsodia su un solo tema non è solo la conferma ulteriore del talento di Claudio Morandini. È soprattutto la dimostrazione che si può ancora scrivere in italiano, in Italia.
(Giona A. Nazzaro, “Rumore”, 01/06/2010)

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