Quando ci viene affidato un compito riguardante un argomento rispetto al quale siamo sprovvisti delle necessarie nozioni basilari, il raggiungimento dell’obiettivo si prefigura arduo. È questo il motivo dello smarrimento che ho provato tenendo in mano l’ultimo imperdibile romanzo di Claudio Morandini. Il tema portante è la musica classica e, di fronte a una simile materia, ci si sente quasi in dovere di approcciarsi alla lettura con un impegno e una serietà maggiore di quella normalmente riservata a un romanzo di altro argomento. Così, ci si sorprende ad assumere un atteggiamento rispettoso verso i brani classici, i loro compositori e le storie che riguardano entrambi, come fossero qualcosa di “grande” e imperscrutabile.
Per fortuna Claudio Morandini insegna Lettere in un liceo scientifico, e dietro la scorrevolezza della scrittura scevra da tecnicismi, è facile immaginare un quotidiano esercizio alla buona espressione, così come, nel delineare le emozioni dei personaggi, ha presumibilmente giovato un attento studio, se così si può dire, degli animi dei suoi alunni.
Morandini invita con garbo a intraprendere un viaggio che porta dall’America alla Russia, e che una pagina dopo l’altra si delinea più nettamente come un cammino dentro se stessi, anche attraverso la scoperta dei moti interiori che hanno determinato la figura del grande compositore Rafail Dvoinikov. Il musicista americano, nonché professore universitario Ethan Prescott, vuole tenere desto il ricordo del maestro Dvoinikov, consapevole del fatto che presto non solo il suo corpo ma anche le sue sinfonie potrebbero sbiadire nella memoria degli studenti. Come fosse una missione più personale che didattica, Prescott vola più volte dal suo collega in Russia. A dispetto delle indicazioni chiare e incoraggianti, l’americano attraverserà chilometri di strade deserte, paesaggi brulli e duri, freddo, scoraggiamento, prima di raggiungere l’umile e silenziosa dimora di Dvoinikov. Salvo poi capire che l’asperità del luogo e la complessità del viaggio rispecchiano l’intricato e sofferto mondo che il mentore russo racchiude nel suo animo. L’entrata in scena del compositore ormai cieco paga Prescott delle difficoltà incontrate; per descriverlo il professore di Philadelphia ricorre alla mitologia greca paragonando Dvoinikov a Edipo, e lui, il maestro, si staglia sulla pagina con l’eleganza e l’imperiosità di un uomo cui una vita irta di pericoli e tensioni ha saputo poi riscattare con il dono di una profonda umiltà e grandezza d’animo.
Ethan vuole intervistare il compositore russo, ma gli incontri tra i due si risolvono in lunghe chiacchierate, spesso affannate e dolorose, filtrate dalla traduzione della giovane Polina. Prescott, e con lui il lettore, si scopre impreparato ad accogliere tanta complessa vitalità, numerosi patimenti e altrettanto fitti racconti di slanci passionali e piaceri sessuali, pulsioni e vibrazioni che sono stati linfa per la musica del maestro. Gli amplessi, i tradimenti, il puro piacere fisico occupano largo spazio nel romanzo, come se fosse l’unico modo per infondere normalità e distrarsi da una successione di vicende troppo corrosive da poter sopportare altrimenti. Le due guerre mondiali non hanno risparmiato ostacoli a Dvoinikov che, da artista, ha visto negare la libertà alle sue creazioni, censurare le sue musiche e infine è stato costretto a vivere in esilio nella sua stessa terra.
Il racconto delle vicende personali di Dvoinikov è costantemente intervallato dalla descrizione giocosa e divertente degli amorosi litigi di Ethan con il compagno Carl, da considerazioni di ampio respiro sulla musica in tutte le sue forme. E questo a sua volta è seguito da stralci di un pamphlet settecentesco scritto da un antenato di Rafail; e ancora dalla trascrizione di verbali di interrogatorio a cui Dvoinikov è stato sottoposto innumerevoli volte, e in un cui risuona un’eco degli orwelliani interrogatori-tortura del celebre 1984. C’è anche spazio per la parodia dei costumi del tempo, e il ricordo dei dittatori maniacali nel ricorso a sosia su sosia su sosia, come ben descrive, ad esempio, Pennac in Ecco la storia. Senza considerare gli innumerevoli racconti racchiusi l’uno nell’altro, come fossero tante matriosche, che ci regalano aneddoti sulla vita di musicisti più o meno noti.
Ne consegue che è riduttivo definire Rapsodia su un solo tema semplicemente un romanzo. Morandini ci ha donato un riuscitissimo connubio fra saggio, biografia, lunga intervista, storia della musica, pamphlet politico. E se il pretesto iniziale è il confronto e l’incontro tra due compositori di nazionalità, età, tendenze sessuali, formazione, cultura e periodi storici diversi, la scrittura si apre a ritmi, colpi di scena e situazioni care alla struttura delle fiction e delle sit-com, i cui finti applausi sono spesso citati da Prescott per sottolineare la falsità di talune scontate riflessioni.
Morandini ha il merito e la rara capacità di essere riuscito, attraverso le parole, a rendere reale, vibrante ed emozionante un’esperienza uditiva, come dimostra la lodevole descrizione del componimento musicale da cui il romanzo prende nome (pp. 103-104).
Rapsodia su un solo tema trae innegabile ricchezza dall’eclettismo stilistico che accompagna ogni pagina invitando il lettore a predisporre l’animo ora alla confidenziale quotidianità dei litigi tra Ethan e Carl, ora all’umiliazione derivante dai verbali d’interrogatorio. Ancora a incuriosirsi per delle pagine di studio scritte nel ‘700, e inevitabilmente a commuoversi, rispettare e soffrire insieme a Dvoinikov memore del suo passato. Questo viaggio è anche l’insegnamento di un padre al giovane figlio, un commovente passaggio di testimone da una generazione eclissata a quella nascente. Quel che resta alla fine è un misto di rispetto e malinconia per uomini grandi che hanno espresso in note le loro stesse vite, e la riconferma di una riflessione a cui mi aveva indotto la lettura de La musica ferma il tempo di D. Barenboim: il blocco che spesso si avverte nell’ascolto della musica classica potrebbe essere superato se solo si pensasse che tanta imperiosa intensità e solennità dei suoni deriva dalle emozioni di uomini come tutti noi.
(Maria Grazia Piemontese per http://www.libriconsigliati.it)

  • Share on Tumblr