Decadenze accademiche da espiare versando il «sangue del tiranno»

Il tiranno è lui, il vecchio rettore La Sansa, che dopo lunghi mesi di malattia, proprio quando tutti si aspettano che finalmente lasci, torna al suo posto, al vertice di un’anonima università di recente costituzione. L’intero corpo docente va nel panico: la professoressa Marecchia Forbis, che sperava di veder confermata la sua reggenza; e il prof. Calandrone, che teme il vecchio rettore più della peste e non vorrebbe finire come Cravetto, costretto a lasciare la cattedra e a ritirarsi in campagna tra verdure e cani randagi. Calandrone arriva addirittura a pensare di organizzare un agguato al vecchio tiranno, di assoldare un killer…
Eppure, un tempo, Calandrone era un intellettuale brillante, un docente che avrebbe potuto mirare a ben altro che non a quell’ateneo di provincia. Questa università pretenziosa mostra anche nelle strutture usurate il suo volto vero: voluta dai «grandi progetti» dei politici e della Regione in tempi di spesa pubblica ridondante, ora langue tra un’emorragia lenta di iscritti e un’accidiosa depressione di docenti. Il vecchio rettore, più abile a muoversi nel sottobosco politico che tra le eccellenze accademiche, ha modellato l’ateneo a sua immagine e somiglianza e ora trascina nella sua decadenza l’intero sistema. Bisogna liberarsene, dice Calandrone, cercando solidarietà fra i colleghi e complicità in Martino Villani, l’io narrante di questa storia, emblema dei nuovi cattedrattici, troppo deboli per essere «baroni», troppo cinici per sottrarsi al sistema, più abili nel conquistare le grazie di qualche accondiscendente borsista che distinguersi per reali meriti scientifici.
Una mattina il vecchio rettore viene trovato nel suo studio, in fin di vita. Qualcuno l’ha aggredito. E l’inchiesta dell’ispettore Maderna mette in luce debolezze e meschinità di un sistema alla fine: i tagli ministeriali piombano su una struttura già consunta.
Claudio Morandini con questo «finto» giallo dà una descrizione impietosa della situazione universitaria italiana, la colloca nella dimensione teatrale dell’assurdo, ma ne coglie un nucleo di verità che dovrebbe inquietare.
(Claudio Baroni, “Il Giornale di Brescia“, 26/7/2011)

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