Mi trovo davanti a un romanzo, anzi, veramente, come recita la quarta di copertina, a “un esilarante romanzo picaresco, un’allegoria della vita per leggere con uno sguardo nuovo i nostri giorni”.
Mi trovo davanti, ancor più precisamente, all’ultimo romanzo di Claudio Morandini, pubblicato quest’anno per le edizioni La Linea, nella collana Tam Tam, libro dalla copertina naturista e assai evocativa, con alberi spogli su sfondo plumbeo, e una mole mediamente considerevole di più di duecentocinquanta pagine di narrazione.
Mi viene subito da pensare: “Sarà un po’ pretenzioso”.
Resto però altamente incuriosita, in special modo, devo confessarlo, dalla dedica dell’autore, che recita: “La vita fugge – con quel che segue”.
E in effetti, dopo attenta e meditata lettura, questa è proprio la definizione che darei all’intero romanzo di Morandini, se mi venisse chiesto di riassumerne l’impressione in una sola frase. Direi esattamente: “La scrittura fugge – con quel che segue”.
Perché l’evoluzione di queste grandi giornate procede anche abbastanza rapidamente, tra avventure e disavventure invero assai tipiche della narrazione picaresca, sì, e mai troppo allontanandosi dalla linea allegorica di un viaggio alla disperata e speranzosa ricerca di se stessi, della vita e della morte insieme.
Ma la scrittura di Claudio Morandini, se devo dirla tutta, arriva a sfiorare l’insolenza: approfondimento critico intelligentissimo, finezza espositiva senza quasi paragoni, almeno nell’immediato parterre contemporaneo, placida armonia razionale nel riportare a galla i tumulti più beceri dell’angoscia privatissima, umana e esistenziale tutta, in senso finanche storico, politico, culturale.
Claudio Morandini è un autore assai degno di nota, che riesce a giocare con il tempo e con lo spazio, li slabbra, li dilata, vi penetra e ne fuoriesce con una maestria leggiadra e accattivante, che permea il lettore di una vivida vaghezza nostalgica e, al contempo, riesce a infondere nuova linfa, intimista e propulsiva, all’odierna quotidianità, pur sempre impigrita e massificata.
Ironicamente, Morandini esalta l’uomo svilendolo, scompone le sue certezze per rifondarne le più autentiche esperienze, arrivando a spogliarne l’esistenza quanto più possibile, al solo scopo di ricucirvi addosso un abito più ragionativo, singolare, vivo.

Un animale, pareva. Scuoiato della pelliccia e lasciato lì, a marcire al sole. Una gigantesca vescia pronta a esplodere. O la fioritura carnosa di certi vegetali dei tropici, che si fingono carcasse per attirare le prede necrofaghe. O, che so, i resti d’un uomo, depredato, denudato, ucciso.

(Francesca Fiorletta, http://blogportbou.wordpress.com)

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