Claudio Morandini è così allegorico da essere “favoloso”

Un rappresentante di commercio viaggia con una bambola di lattice che si muove, si gonfia da sola e a volte parla; quattro mamme accompagnano i loro schifosi pargoletti, membri di una proterva baby band, in tournée, protette da un uomo tatuato e con la lingua divisa in due (“Lei gli consigliò, un giorno, di osare di più, di aggiungere un pizzico di originalità. Verso le cinque del mattinò ebbe la folgorazione: la biforcazione della lingua”). E poi un pingue campanaro di mezza età che si converte al naturismo, un vecchio che lecca il pavimento di una chiesa, un conferenziere ingoiato da una sinistra clinica per moribondi, dove le infermiere guariscono gli agonizzanti innamorandosi eroticamente di loro…
Non è da tutti entrare nel cosmo sconcertante di Claudio Morandini, bisogna essere disposti a traslocare in un pianeta dove ogni normalità è stata minata da un disastro su cui vige la congiura del silenzio. All’inizio sembra pure che i racconti di A gran giornate (edizioni La Linea, pagg. 255, euro 14) non siano legati; ed è una sorpresa accorgersi che pian piano quasi tutti i personaggi finiscono per incrociare i loro passi, magari in una locanda dove due anziani albergatori, oltre a servire piatti disgustosi, nascondono una “bestia” che di notte, dietro la porta sbarrata, manda latrati agghiaccianti. C’è bisogno di aggiungere che la bestia vorrebbe accoppiarsi con gli ospiti dell’albergo, essendo anche, pare, “una signorina”?
Realizzati con un linguaggio curato, musicale e privo di inutili belletti, i racconti di Morandini fanno pensare a una visionarietà cieca. Le stupefacenti immagini che si incontrano nella pagina (l’immenso cratere, la campagna devastata, la foresta satura di elusivi mostriciattoli), infatti, non preludono ad alcuna rivelazione. Al contrario: il cammino on the road di questi sopravvissuti è prettamente terragno e picaresco. Picaresca è l’ossessione per il cibo (sempre rivoltante), per il sesso (sempre grottesco) e per la morte, evocata peraltro nel titolo della raccolta, che ripete il verso più angoscioso di Petrarca. Per cui se amate gli scrittori dalla fantasia sbrigliata ma vorreste che fossero al servizio di una filosofia della vita esente da menzogne, Morandini è l’autore che fa per voi. Vi condurrà in un luogo dove tutto è allegoria di qualcosa che non sappiamo, o che sappiamo talmente bene che ormai non riusciamo a parlarne senza l’attenuazione della favola.
(Fabrizio Ottaviani, “Il Giornale”, 22 ottobre 2012)

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