Alle prese con Morandini la letteratura cambia faccia, quella attuale la si può rimettere nelle vetrine di Montecarlo e, finalmente, il poco che resta torna in mano ai ciabattini – vale a dire, ai geni dell’invenzione fantastica ma socialmente inchiodata (Kafka, Buzzati, Landolfi), ai geni della scrittura ponderata fin quasi all’afasia finale (Beckett). E poi lo svelamento dei mostri, dove la realtà è pressappoco corteggiata da questioni che sono materia del “giallo”, o del noir, intesi come generi ma anche come letteratura al quadrato (Dürrenmatt). E siamo già a cinque autori, amati incondizionatamente da Claudio (e da me). Senza mezzi termini, e con la più meditata ma passionale dichiarazione. Siamo, per dire, dalle parti migliori del Novecento, quello che portava gli autori dritti filati dai propri inferni ai set cinematografici di Hollywood e Cinecittà. Wilder e Fellini, Miller (Henry) e Flaiano. I mostri, dunque, cioè i soliti uomini che si portano a letto, ma anche in società, bambole gonfiabili che ammiccano (i proprietari sono pronti a giurarlo) come fossero amabili cagnoline da letto e da “frontespizio borghese”. Quegli uomini che incontrano donne spogliate in mezzo ai boschi, e non capisci più se si tratta della ricchezza di un sogno, nazionale, o dell’ultimo atto di menti disturbate. Quegli uomini che si trasformano in un batter d’occhio da Alberto Sordi a John Malkovich, come dire dalla borgata all’architettura perfetta. In una parola: tutti noi maschi. Italiani, per giunta. Che sposiamo per salvarci la pelle, e va bene quando non massacriamo spose, probabilmente infedeli, ma altrettanto custodi di minestre, pizze e marmocchi. In A gran giornate le colpe sono agili come un balletto, le volontà picaresche spesso raggiungono apici di cialtroneria, il tutto è guidato dall’abilità affabulatoria di Morandini, sicuramente uno dei pochi scrittori oggi in Italia capaci di scrivere “bene”. Non sembri esagerato. Sui banconi delle librerie, ma anche sugli scaffali, sono pochi gli episodi che si ricordano e si ricorderanno. Citare i nomi non è da gentleman, in questa occasione, anche se mi piacerebbe. Ora abbiamo a che fare con un autore che agisce da una provincia vischiosa e abbastanza misteriosa: Aosta potrebbe gestire atmosfere di confine come niente fosse, però nei libri di Morandini appare trasfigurata, resa piatta e forse scaricata quanto una senile regione “padana”. Tutto questo è spiegato molto bene e profondamente in una gustosa intervista, apparsa sul numero di gennaio di “Pulp libri”. Ora, siamo sinceri, dovrebbe presentarsi lo scrittore, spazzare via le solite afflizioni critiche, e aprire A gran giornate a una pagina qualsiasi. Ne vedreste molti fuggire a zig-zag, incapaci di resistere allo smascheramento. Resterebbe la parte migliore del pubblico, e le donne applaudirebbero molto contente. C’è da domandarsi che ne sarebbe delle convenzioni attuali, dell’opportunismo dilagante. E viva Landolfi, vero Claudio?
(Elio Grasso, “FuoriAsse” n. 6, marzo 2013)

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