ART 33 COP I+IV  n 5-6 2012

“La vita fugge e non s’arresta una hora/ et la morte vien dietro a gran giornate”. 
Francesco Petrarca 

Dove sono Onorato, Tullio, Nathan, Spaventa e Angous, Duprez e Ollsen, il seduttore, il comico, il masochista, l’Uomo Malato, il rissoso? Tutti, tutti dormono dentro al furgone… è inevitabile il richiamo a Spoon River. Quattro spezzoni di un’avventura vissuta “a gran carriera, magnis itineribus” dove ogni personaggio viene iconizzato attraverso le proprie raffinate stramberie. Quattro storie che s’intrecciano fino a convergere in un unico, grottesco percorso nel quale compaiono figure gotiche di animali usciti dal bulino di Goya, in un tempo storico senza coordinate dai traguardi irraggiungibili. Giocato nel profondo reale del sogno, A gran giornate, ultimo sforzo letterario di Morandini (il quinto per l’esattezza), si colloca in un’ipnosi surreale che abbraccia Beckett e Buñuel, là dove l’abisso è disperato, e per questo se ne cercano possibili vie di fuga, ma anche nella circolarità di Borges nell’apertura di spazi-isola che evidenziano la curiosa, ubiqua, biforcazione del doppio. Ne fa le spese il povero Ollsen, il quale, come Jones il suonatore di Lee Masters, si trova forzatamente al piano e “suonare gli tocca per tutta la vita… e mille ricordi e nemmeno un rimpianto”. 
(Anita Garrani, Articolo 33 n.9-10, 2012)

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