Il suono che fa la neve quando si scioglie (e il misantropo d’altura)

Adelmo Farandola è un vecchio solitario che vive in una conca sperduta tra i monti. D’estate, risale fino a un bivacco abbandonato, una lamiera accartocciata dai venti gelidi che scuotono i picchi alpini, inchiodata su uno sperone. C’è a malapena spazio per una persona e, del resto, a nessuno verrebbe in mente di spingersi fin lassù. Ad Adelmo Parandola danno fastidio le persone. Non vuole seccatori, li caccia a sassate e, magari, con qualche colpo di fucile a pallettoni.
In autunno scende un po’ più giù, in una vecchia baita di pietre che si confonde col paesaggio. Dove un tempo c’erano le vacche, ora Adelmo tiene la sua dispensa e una borsa piena di banconote che ha seppellito da qualche parte nella nuda terra. Quel vallone roccioso, dove non cresce nemmeno l’erba, abbandonato dai pastori molti anni addietro, è suo. L’ha comprato e gli appartiene. Tutto in quel posto gli appartiene, dai sassi agli stambecchi, dai licheni aggrappati al suolo ai ragni che tessono le loro tele, al vento che sibila correndo nelle gole di granito. Prima che l’inverno si abbatta con la sua candida e spietata coltre su ogni cosa, l’uomo scende a valle a fare scorta di provviste. Tornando con la gerla carica di cibo, incontra un vecchio cane pulcioso che gli si incolla addosso, e non ci sono pedate sufficienti a scacciarlo. È il primo incontro di quell’anno, che cambierà per sempre la vita di Adelmo. Pure un giovane guardiacaccia gli ronza attorno da mesi, lo spia col cannocchiale, lo avvicina con qualche pretesto, prova a scambiare due parole. Solo le nevicate abbondanti che presto rendono quel luogo invivibile allontanano il ficcanaso.
La stagione scorre lenta, sembra interminabile. La baita è avvolta da un muro di neve così alto da non far passare nemmeno la luce attraverso le finestre, le scorte si assottigliano fino a esaurirsi. Cane e uomo condividono quello spazio angusto, fino al disgelo. E quando, finalmente, la neve si ritira, dal fronte di una valanga che ha sfiorato la loro catapecchia spunta un piede. Nudo e annerito, ma perfettamente conservato dal ghiaccio, un piede umano cresce sulla coltre candida come un tronco marcio. Il romanzo di Morandini è scritto con il rasoio. Con colpi netti, precisi scolpisce nella mente del lettore il paesaggio lunare delle Alpi, la vita da eremita, l’alternarsi delle stagioni. Descrive perfino il silenzio della neve che si scioglie sgocciolando. Pare di essere là, con Ademo Farandola, e pure nella sua testa ormai un po’ confusa. Si intuisce la cura che lo scrittore ha messo nell’opera. Un lavoro che richiede tempo, oltre che genio: letture, osservazione, immaginazione. Dispiace ammettere che un testo, che probabilmente ha richiesto molti mesi di lavoro, si legga in poche ore. E se ne vorrebbe subito un altro.

(Alessandra Selmi, (Ca)libro 9, su Il cittadino di Monza e Brianza, 21 gennaio 2016)

Qui la videorecensione.
http://www.ilcittadinomb.it/videos/video/calibro-6-alla-scoperta-del-libro-nascosto_1023228_44/

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