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La lingua petrosa di Claudio Morandini
Prosa irta e racconto visionario alla Revenant, nel libro Neve, cane, piede

È un piccolo editore a pubblicare un libro così potente, quasi un oggetto alieno precipitato nelle patrie lettere: Neve, cane, piede, di Claudio Morandini, che nasce da un misterioso incontro. L’autore inerpicandosi per un sentiero sdrucciolevole di montagna si imbatte in un vecchio eremita, padrone di quella conca sperduta, che lo prende a sassate.
Sceso a valle intende ricostruirne una immaginaria, ma non inverosimile biografia. Sapendo che le storie vere a un certo punto si impantanano e finiscono lì «dove nessun corso di scrittura farebbe mai finire una storia d’invenzione». L’eremita in fuga dalla falsità della vita sociale (con fantasticherie di vendetta) vive dentro una casupola, in un modo quasi bestiale: non si lava mai («lascia che il tanfo gli crei attorno un’aura di calore»), si nutre di patate, mele «ingrugnite», carne secca e carne andata a male, ma anche di cavallette vive. Si prende con sé un vecchio cane con gli occhi strabuzzati di due colori diversi (che diventa un cane parlante…).
L’atmosfera potrebbe ricordare, anche se solo esteriormente, quella del film Revenant del regista messicano Alejandro Iñárritu. La prosa somiglia al paesaggio alpestre: nitida e pietrosa, densa e come svuotata. Gli oggetti sono nominati uno per uno: nella stalla si allineano, accanto agli utensili, «i bigonci, le cavezze, le zangole, le catene…». La montagna innevata non è per niente silenziosa: «Le grandi valanghe parlano con boati spaventosi», mentre il suo ghiaccio custodisce innumerevoli specie animali. Nell’immobile paesaggio alpestre infatti «è tutto un brulicare eccitato e spossante di animali tra le pietre, di prede e predatori…». Ma c’è una scena che merita di essere antologizzata. Dentro le pozze le rane rosse di montagna depongono nuvole di uova. Poi quando nascono i girini sono troppi per quelle pozze, e allora «si spingono con una violenza molle… cominciano a mordersi… si sbrindellano… è tutto uno spalancarsi di bocche sdentate». In questa battaglia dei minuscoli girini sembra condensarsi un dramma cosmico.

(Filippo La Porta, Left n. 8, 20 febbraio 2016)

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