Avete mai sentito parlare del premio letterario “Procida – Isola di Arturo – Elsa Morante”? È un premio dedicato alla grande autrice, organizzato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Procida con il patronato del Presidente della Repubblica e della Regione Campania. Per quanto riguarda la “sezione Narrativa”, lo scorso 2 luglio sono stati comunicati dalla giuria tecnica i tre libri (e i relativi autori) che hanno raggiunto la finale: Il grande animale di Gabriele Di Fronzo, Il cinghiale che uccise Liberty Valance di Giordano Meacci e Neve, cane, piede di Claudio Morandini. E il vincitore verrà decretato il 24 settembre. Il primo non l’ho ancora letto, il secondo, vi giuro, ci ho provato ma non sono riuscita ad andare oltre il trenta per cento e il terzo l’ho praticamente divorato, quindi ve ne parlo oggi.

Protagonista della nostra storia è Adelmo Farandola, un uomo avanti negli anni, burbero e un po’ fuori di testa che vive in una baita sulle Alpi, isolato da tutto e da tutti. Un giorno incontra un cane che sembra voler stare con lui e se in un primo momento cerca di proteggere la sua solitudine, poi lo accoglie in casa e i due diventano praticamente inseparabili. La vita scorre più o meno tranquilla, a parte un guardiacaccia che sembra volerli infastidire abbastanza spesso, fino a quando un giorno Adelmo e il suo cane vedono un piede che sbuca fuori dalla neve e non sanno che fare: l’animale (con cui Adelmo ha frequenti e grotteschi scambi di battute) gli consiglia di chiamare qualcuno per denunciarne il ritrovamento, ma il padrone lo copre per nasconderlo, lo sposta di qua e di là per poi decidere di dirlo alla signora che gestisce l’unico negozio del luogo senza concludere poi tanto. Ma di chi è quel piede? O meglio, chi è il cadavere a cui appartiene il piede? Chi lo ha ucciso? E perché?

Morandini fa sì che noi lettori ci immedesimiamo molto facilmente in Adelmo ed entriamo nella sua mente: né noi né il protagonista riusciamo più a distinguere la realtà dall’immaginazione. Il cadavere è di quel guardiacaccia così fastidioso e ficcanaso? Forse sì, forse no. L’ha ucciso Adelmo? Forse, ma chi se lo ricorda? E il cane? Parla davvero (e così tanto)? Ma com’è possibile? Neve, cane, piede è la storia di un uomo che ha scelto di isolarsi in una baita di montagna rompendo i ponti perfino con suo fratello, di un uomo che vuole stare da solo e ha difficoltà perfino a reggere una semplice conversazione con la donna del negozio dove va a fare provviste. Adelmo è una sorta di eremita che non vuole avere a che fare col mondo e con il quale il mondo stesso non vuole avere niente a che fare, solo il guardiacaccia si preoccupa che possa avere un arma e combinare qualche guaio.

L’autore, in una nota finale intitolata Storia di questa storia, ci spiega proprio da cosa è nato il suo libro. Morandini dice di aver incontrato davvero un uomo simile al suo Adelmo, un signore, con un cane sporco accanto, che appena lo ha visto stanco su un sentiero ha cominciato a tirargli addosso pigne e sassi per poi lasciarlo passare osservandolo ma senza dirgli una parola.

Mentre mi allontanavo, mi chiedevo: ma come vive questo? Come arriva alla fine della giornata, in questo valloncello senza neppure un torrente, sdegnato perfino da uccelli e marmotte? Conoscerà valichi nascosti, passerà da una conca all’altra, caccerà bestie con le nude mani, ne imiterà perfettamente i versi, si sentirà uno di loro? E come passa l’inverno, quando quassù c’è solo neve, neve, neve?

(Valentina Accardi, La Biblioteca di Babele)

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