La neve ghiacciata di una sperduta valle alpina. Un cane petulante e chiacchierone. Il piede di un cadavere che comincia a venir fuori ai primi segnali del disgelo. Eccoli, gli elementi che fanno il titolo di questo nuovo romanzo (tratto da una storia vera: la realtà aiutando a rendere probante l’immaginazione) di Claudio Morandini. Una storia di montagna, certo, ma che si allarga al mondo. Una storia deformante e felicemente surreale: di quella surrealtà tutta landolfiana (e penso soprattutto al Landolfi che amava definirsi un «pagliaccio verbigerante») che illumina tanto vivere, che ne mostra le insufficienze, le inadeguatezze. E così Adelmo Farandola, un vecchio scontroso e solitario, dalla memoria vacillante, diventa il nuovo picaro di questa fiaba che si tinge di giallo, o di nero: dove a preoccupare – una volta chiuso questo godibilissimo e raffinato racconto lungo – non è tanto il morto (un morto che vede e che parla: come i morti di quel fulminante romanzo d’esordio che è Cade la terra, di Carmen Pellegrino), quanto i vivi. Quelli che appena si intravedono, si scorgono, tra le pagine e i lampi di luce riflessi dagli specchi di neve. E come accade con quella fortissima luce alpina, i vivi di Neve, cane, piede lasciano percepire al lettore il loro lato oscuro, quella che Brancati (e torniamo alla luce, alla neve) avrebbe definito la ripresa buia. Leggetela, questa fiaba picaresca. Vi piacerà.

(Giuseppe Giglio, facebook)

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