“Neve, cane, piede” di Claudio Morandini è la storia di Adelmo Farandola, un uomo solitario e schivo che vive in una malga lungo la costa di una montagna. L’isolamento voluto, desiderato e cercato con una cocciutaggine ossessiva produce nell’uomo la conduzione di una vita in cui a fargli compagnia sono solo i rumori della sua vecchia casa e il piccoli scricchiolii della montagna durante i lunghi mesi invernali. A rompere questa solitudine arriva la presenza di un cane che, affamato e testardo, riesce a vincere la “cattiva” solitudine di Adelmo, diventando il suo compagno di camminate. Con il procedere del racconto, Morandini con lievi movimenti di prosa porta il lettore a sprofondare nella mente del protagonista, un uomo che, dopo aver venduto i suoi possedimenti, si è deciso per un eremitaggio sempre più estremo. La solitudine diviene così assoluta, così invasiva che si trova poco alla volta a dialogare con il cane che diventa il suo alter ego.
Tra i due incomincia una serie di dialoghi gnomici, inerenti il senso della vita e dell’esistenza, che rappresentano il cuore filosofico del libro. Il romanzo quindi si muove lungo un crinale legato alla “sapienza”, in cui la solitudine e la pazzia sembrano essere i prodromi di una conoscenza del mondo più profonda. In questo senso, Adelmo Farandola rappresenta in tutto e per tutto l’ultima incarnazione dell’uomo del sottosuolo che rimanda a Fedor Dostoevskij e che ha fatto della rinuncia al mondo la sua “stolta” saggezza. A minare questo equilibrio precario c’è il ritrovamento, dopo una valanga, di un piede umano. Adelmo cadrà lentamente prigioniero delle sue allucinazioni che diventeranno sempre più violente e invasive. L’uomo, davanti a quell’arto congelato, inizierà a pensare che la sua scelta di isolarsi sia messa a repentaglio dagli altri; che quel piede osceno nel grigio manto di neve ne sia la prova. Convinto di questo, decide di rifugiarsi in un luogo ancora più oscuro dove si consumerà il tragico finale del romanzo.
“Neve, cane, piede” è un romanzo breve ma dalla prosa accurata, dove l’abilità di Morandini sta nella capacità sintattica di mimare la pazzia del protagonista e di condurci dentro i labirinti della sua mente. Un testo molto bello e assai ben scritto, giustamente vincitore del premio Procida 2016 nella sezione “Narrativa”.

(Demetrio Paolin, Il Foglio, 2/2/2017)

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