(Luca, Alta Vita)
“Neve, cane, piede”: la parte più oscura della vita di Montagna nel nuovo romanzo di Claudio Morandini
Modus legendi è una delle più efficaci iniziative di supporto ai libri e alla lettura messe in atto in Italia negli ultimi anni, con l’intento primario di rimettere il lettore al centro del mercato editoriale e, con lui, la letteratura di qualità che l’editoria indipendente sa ancora realizzare.
L’edizione 2017 di Modus legendi è stata vinta da un libro che, a suo modo, parla di Montagna e di civiltà dei monti: Neve, cane, piede di Claudio Morandini, autore valdostano.
Il romanzo è ambientato in un vallone isolato delle Alpi. Vi si aggira un vecchio scontroso e smemorato, Adelmo Farandola, che la solitudine ha reso allucinato: accanto a lui, un cane petulante e chiacchierone che gli fa da spalla comica, qualche altro animale, un giovane guardiacaccia che si preoccupa per lui, poco altro. La vita di Adelmo scorrerebbe scandita dai cambiamenti stagionali, tra estati passate a isolarsi nel bivacco sperduto e inverni di buio e deliri nella baita ricoperta da metri di neve, se un giorno di primavera, nel corso del disgelo, Adelmo non vedesse spuntare un piede umano dal fronte di una delle tante valanghe che si abbattono sulla vallata.
Neve, cane, piede si ispira a certi romanzi di montagna della letteratura svizzera, in particolare a quelli di Charles-Ferdinand Ramuz, o alle opere ancora più aspre di certi autori di lingua romancia, come Arno Camenisch, Leo Tuor o Oscar Peer: vi si racconta una vita in montagna fatta di durezza, di fatica, di ferocia anche, senza accomodamenti bucolici. Nell’ambiente immenso, ostile e terribile della montagna, il racconto dell’isolamento dell’uomo, del ripetersi dei suoi gesti e dell’ostinazione dei suoi pensieri è reso dalla descrizione minuziosamente realistica che a volte si carica anche di toni grotteschi e caricaturali, soprattutto nei dialoghi tra uomo e animali, questi ultimi dotati di loquacità assai sviluppata.
Un romanzo, dunque, che esplora alcune delle tematiche basilari di cui si occupa ALTA VITA: la parte più oscura della civiltà di Montagna, quella più rude e “selvatica”, forgiata direttamente dalla durezza della roccia, dalla freddezza del ghiaccio o dal silenzio dei più sperduti valloni in quota, e tuttavia parte inevitabile e inesorabile non solo dell’iconografia montana ma anche dell’essenza stessa del vivere nelle Terre Alte. Una durezza in qualche modo identitaria, forgiante la mente, il cuore e l’animo, a volte quasi insopportabile eppure, per così dire, necessaria.
L’edizione 2017 di Modus legendi è stata vinta da un libro che, a suo modo, parla di Montagna e di civiltà dei monti: Neve, cane, piede di Claudio Morandini, autore valdostano.
Il romanzo è ambientato in un vallone isolato delle Alpi. Vi si aggira un vecchio scontroso e smemorato, Adelmo Farandola, che la solitudine ha reso allucinato: accanto a lui, un cane petulante e chiacchierone che gli fa da spalla comica, qualche altro animale, un giovane guardiacaccia che si preoccupa per lui, poco altro. La vita di Adelmo scorrerebbe scandita dai cambiamenti stagionali, tra estati passate a isolarsi nel bivacco sperduto e inverni di buio e deliri nella baita ricoperta da metri di neve, se un giorno di primavera, nel corso del disgelo, Adelmo non vedesse spuntare un piede umano dal fronte di una delle tante valanghe che si abbattono sulla vallata.
Neve, cane, piede si ispira a certi romanzi di montagna della letteratura svizzera, in particolare a quelli di Charles-Ferdinand Ramuz, o alle opere ancora più aspre di certi autori di lingua romancia, come Arno Camenisch, Leo Tuor o Oscar Peer: vi si racconta una vita in montagna fatta di durezza, di fatica, di ferocia anche, senza accomodamenti bucolici. Nell’ambiente immenso, ostile e terribile della montagna, il racconto dell’isolamento dell’uomo, del ripetersi dei suoi gesti e dell’ostinazione dei suoi pensieri è reso dalla descrizione minuziosamente realistica che a volte si carica anche di toni grotteschi e caricaturali, soprattutto nei dialoghi tra uomo e animali, questi ultimi dotati di loquacità assai sviluppata.
Un romanzo, dunque, che esplora alcune delle tematiche basilari di cui si occupa ALTA VITA: la parte più oscura della civiltà di Montagna, quella più rude e “selvatica”, forgiata direttamente dalla durezza della roccia, dalla freddezza del ghiaccio o dal silenzio dei più sperduti valloni in quota, e tuttavia parte inevitabile e inesorabile non solo dell’iconografia montana ma anche dell’essenza stessa del vivere nelle Terre Alte. Una durezza in qualche modo identitaria, forgiante la mente, il cuore e l’animo, a volte quasi insopportabile eppure, per così dire, necessaria.