“Le pietre” è il libro della sera, la voce di un cantastorie di carta, che introduce ai suoni della notte: frane, sfrigolio delle rocce, eco del torrente, rimbombi sotto terra.
Come un bambino in attesa della prossima storia, il lettore si trova all’interno di un cerchio che gira, gira intorno a un mistero: le pietre semoventi e il villaggio alpino di Sostigno.
La vita lineare, scandita dalla transumanza, dettata dal ritmo delle stagioni, sei mesi a monte e sei a valle, a un certo punto, ma le ipotesi su quale sia stato il momento esatto sono molte, cede il passo alla vita instabile, non solo degli abitanti di Sostigno, ma di tutto ciò che li circonda.
C’è chi, come l’Io narrante, ha vissuto linearità e instabilità e chi, più giovane, non ha altre pietre di paragone che quelle semoventi.
Il lettore ascolta-legge di supposizioni, spiegazioni, ardite congetture sul perché, da decenni, questo fenomeno appaia sempre così singolare. Fino al tentativo degli abitanti di Sostigno di coglierne l’attrattiva per fare del villaggio alpino una meta turistica; fino a rassegnarsi a diventare, un giorno lontano, tutta pianura e chiedersi come sarà, vive in pianura; fino al “dovreste andarvene da qui”, scandito ogni volta dal guardiacaccia Severino Mutolo.
Le spiegazioni della scienza non sono sufficienti, ma come spiegare altrimenti il fenomeno?
C’è chi considera le pietre semoventi una sciagura, conseguenza dell’arrivo dei coniugi Saponara, “i due babbei di città”, nella cui casa, Villa Agnese, tutto ha inizio, tanto da pensare a uno spettro, oppure chi, come i bambini, le considera “animaletti da compagnia” con cui giocare per anni, a tal punto da scordarsene, perché le pietre compaiono improvvise, ma si muovono lente, con calma.

Claudio Morandini, attraverso una prosa antica, suadente come una cantilena, ci conduce in un viaggio tra il tempo presente e quello passato, sbirciando ogni tanto in quello futuro. “Le pietre” è un libro che culla, come una voce di tempi e luoghi lontani; allo stesso tempo, però, è un libro che ammonisce: la ragione non è affare buono per tutte le stagioni, guardare rapidi e sospettosi non porta frutto. E ricordare chi si è stati non è un affare di cui ridere.
“Le pietre”, dunque, è un invito alla riconquista di uno sguardo scrupoloso verso ciò che ci circonda, uno sguardo “di ora in ora”.

(Annarosa Tonin, Voci in viaggio)

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